“Avere una generazione “Aids-free” è possibile”. A dirlo uno dei massimi esperti di Aids nel mondo, Anthony S. Fauci, che insieme al collega Gregory K. Folkers ha presentato proprio in occasione della conferenza internazionale in corso a Washington la “ricetta” per far sì che per i bambini di oggi Hiv e Aids siano solo un ricordo.
Come? Implementando una strategia globale e sfaccettata, da una parte che miri a migliorare sempre più le capacità di diagnosi e trattamento e a costruire programmi di prevenzione efficaci, dall’altra che colga la sfida dello sviluppo di un vaccino o addirittura di una cura. Questo in sostanza l’ambizioso obiettivo che si propone la 19ª International Aids Conference, partita domenica a Washington.
Le aspettative sono altissime, la partecipazione supera le 25,000 persone, la ‘location’ ha il prestigio della capitale americana, il tema e’ di portata storica “invertire la marea” della malattia insieme, ma le sfide restano. A simboleggiare la portata storica dell’evento, il simposio organizzato dalla International Aids society torna per la prima volta negli Stati Uniti dopo 22 anni, grazie alla rimozione da parte dell’amministrazione Obama del controverso bando che vietava l’ingresso negli Usa ai sieropositivi.
Eppure la conferenza della speranza, in cui scienziati ed attivisti celebrano l’efficacia delle terapia antivirali nell’allungare la vita dei pazienti e rendere l’Aids una malattia cronica, torna curiosamente in una Washington piagata da un tasso di infezioni pari a quello del Congo: il 3% dei residenti sono sieropositivi ed il 6,3% degli uomini di colore che vivono nella citta’. Discrepanze dei passi in avanti nella lotta al morbo che ha registrato una grande vittoria con la diminuzione della mortalita’ globale causata dal virus Hiv del 20%.
L’Italia arriva all’appuntamento con il peso di un debito di 260 milioni di euro nei confronti del Fondo Globale per la Lotta contro l’Aids, la Tubercolosi e la Malaria, aggravato da una totale mancanza di strategia per fronteggiare la pandemia nei paesi più poveri. L’impegno del nostro Paese per sconfiggere l’Aids si è infatti praticamente azzerato da quando, nel 2009, non è stato più finanziato il Fondo Globale e da allora non sono stati individuati canali alternativi.
Secondo il rapporto pubblicato pochi giorni fa da UNAIDS, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS, nel 2011 vi erano 34,2 milioni di persone sieropositive nel mondo, di cui il 69% nella sola Africa subsahariana. I programmi di lotta contro la malattia realizzati finora stanno producendo risultati: l’incidenza dell’Hiv a livello globale è in calo e l’accesso alla terapia antiretrovirale si sta espandendo. Si stima che 8 milioni di persone sieropositive che vivono nei paesi più poveri abbiano accesso ai farmaci salvavita, nel 2004 erano soltanto 700.000. Sono quasi 7 milioni, tuttavia, le persone che non ne possono beneficiare e la stabilizzazione della pandemia non è ancora consolidata: per ogni persona che inizia la terapia antiretrovirale ve ne sono due che contraggono l’Hiv. E’ fondamentale, pertanto, non abbassare la guardia e continuare a investire risorse per contrastare l’Aids; un calo dell’impegno finanziario metterà a rischio i risultati raggiunti finora.
Di recente il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’ Margaret Chan aveva osservato:”Per ogni persona che inizia il trattamento antivirale, altre due vengono infettate”. Il nodo dei fondi alla ricerca ed alla cura rimane quindi centrale: secondo gli ultimi dati mancano ancora circa 22-24 miliardi di dollari per gli obiettivi prefissi al 2015.
Fonte Lila.it, Ansa.it, quotidianosanita.it