Pubblichiamo di seguito un articolo de la Nuova Sardegna sull’approvazione del registro delle Unioni Civili a Sassari. L’articolo nasce da una intervista a Massimo Mele, presidente del MOS, pochi giorni dopo l’approvazione del registro da parte del consiglio comunale.
Ma chi si iscriverà al registro delle Unioni Civili non avrà privilegi aggiuntivi
SASSARI. La prima fu Atzara, con le sue mille anime, nel lontano 2006, a dare lezioni di civiltà. Poi la bandierina sulle alture del progresso la mise Porto Torres, nel 2009. Due giorni fa è toccato a Sassari dotarsi del registro delle Unioni civili.
E come ogni conquista ha comportato la sua dose di sofferenza: mal di pancia nei partiti, dibattiti estenuanti, parole soppesate al milligrammo per cercare di filtrare ogni ristagno maschilista e bigotto. Insomma molta prudenza su un tema scivolosissimo, sempre sull’orlo del precipizio verbale. Ha ragione Massimo Mele, leader del Movimento Omosessuale Sardo, quando nel pieno della discussione in aula consiliare è colto da una straniante sensazione: «E’ come se ci fosse un convitato di pietra». Nel senso che si parla di tutto, di diritti allargati, di stravolgimento della famiglia tradizionale, di Costituzione, tranne che del vero oggetto della discussione, che è lì ma nessuno ha il coraggio di nominare: cioè gli omosessuali.
La questione è un po’ complessa e forse conviene partire da un dato illuminante: sono passati 5 anni dall’istituzione del Registro di Atzara e ancora quel papiro di civiltà è rimasto immacolato. Sono trascorsi 3 anni dal riconoscimento delle coppie di fatto di Porto Torres, e anche quell’elenco è intonso. E adesso anche Sassari sarà molto avara di adesioni. Questo per un motivo molto semplice: il registro delle Unioni civili è un atto puramente simbolico, non ha il potere di migliorare la vita di una coppia gay o di due conviventi etero, concretamente non produce alcun diritto o privilegio aggiuntivo. Non ti assicura una pensione di reversibilità come nel caso di due coniugi, non garantisce il subentro in un contratto di affitto, non ti dà alcun diritto di ereditare i beni della persona amata. «Se io vivo da 40 anni con il mio compagno – dice Massimo Mele – muoio e non ho parenti diretti, spunta fuori un cugino di terzo grado, mai visto e nè conosciuto, e per la legge viene prima dell’uomo con cui ho condiviso tutta la mia esistenza. Per far sì che il mio compagno possa ereditare la casa, dovrei ripudiare l’intera famiglia. Non è assurdo?». In sostanza il registro delle Unioni civili è solo un atto amministrativo che non può interferire e sovrapporsi con i regolamenti dell’anagrafe, con il diritto di famiglia e con tutte le altre normative di tipo civilistico. «Non mi permette di visitare il mio partner all’ospedale o in carcere, non mi consente di riconoscere i suoi figli avuti da una precedente relazione. E a Sassari ci sono coppie lesbiche con ragazze madri che desidererebbero che la propria compagna possa diventare a tutti gli effetti genitore adottivo. Ma lo Stato non lo consente». Ed ecco perché il foglio resta inesorabilmente bianco: «Che senso ha uscire allo scoperto, mettere la propria firma su un documento pubblico, andare incontro a rotture di scatole, se in cambio non hai alcun beneficio? Basterebbe solo che il Registro colmasse uno dei tanti vuoti normativi, e allora varrebbe davvero la pena iscriversi. Altrimenti diventa solo un’azione dimostrativa: potrei farla io, che ho scelto di espormi, ma non una normale coppia omosessuale. Non tutti sono disposti a fare una lotta politica sulla propria vita». Ma allora, se nessuno si degna di iscriversi, che senso ha questo elenco? Perchè il sindaco Ganau si sente orgoglioso della propria città, perchè i consiglieri Gianpaolo Mameli e Raffaele Tetti parlano di una pagina di storia e di un passo avanti di civiltà? Perché gli stessi esponenti del Mos da anni si battono perché Sassari riconosca le coppie di fatto, tanto da occupare nel 2008 l’aula consiliare? E perché il nuovo sindaco di Cagliari Massimo Zedda vuole istituire al più presto l’elenco?
Il fatto è che il Registro delle unioni civili una ragione e un peso politico ce l’ha eccome. «Un censimento Istat di alcuni giorni fa – dice Ganau – parla di 820 coppie di fatto in Italia. Nel 2003 erano 560mila. Forse queste cifre sono addiritture sottostimate. Però evidenziano un dato: e cioè che la società è cambiata e il concetto tradizionale di famiglia è da rivedere. Famiglia sono due anziani che dividono lo stesso tetto, zio e nipote che stanno insieme, e anche una coppia omosessuale che convive». La famiglia, poi, in tempo di crisi, è forse l’unico ammortizzatore sociale che funziona, una sorta di welfare faidate che permette di sopravvivere. Ecco perché l’attenzione alla famiglia cresce e i Comuni riesumano forme nuove di tutela. Dunque queste iniziative istituzionali servono come segnale e impulso al legislatore nazionale. Se tutti gli enti locali riconoscessero le coppie di fatto, le equiparassero a quelle sposate, il messaggio sarebbe chiaro: lo Stato deve tenere conto delle sfacettature della società e impedire che una valanga di ipocrisia seppellisca il mondo reale. E siccome la macchina dei diritti non avanza mai da sola, con la forza d’inerzia del suo essere giusta, ma ha bisogno di altra propulsione, ecco che i Registri possono essere delle spinte. Degli atti simbolici, certamente, al pari di una mozione contro l’omofobia o di un cartello di città denuclearizzata. Ma utili. Soprattutto a chi aspetta ancora un riconoscimento dalla società e un’accettazione culturale, come gli omosessuali. «Alle coppie etero – dice Massimo Mele – il registro in fondo non serve. Loro sono già riconosciuti come famiglia. Noi no. A me non è ancora capitato di notare delle persone, che quando vedono una coppia etero che convive da anni e che cammina per strada, danno di gomito e commentano: oh, lo sai che quei due vivono insieme? Perché è una cosa normale. Per i gay, purtroppo, non è ancora così».
Fonte la Nuova Sardegna, articolo di Luigi Soriga