Si, le ha proprio tutte. Le prerogative per essere discriminato non mancano al giovane Valter Halilovic, 32 anni nato a Torino. Una storia insolita che parla di un percorso non semplice per un ragazzino del nord ma “nomade”. Due volte discriminato, la prima da una legislazione e cultura machista , quella italiana, che ancora non assegna pari diritti alle persone GLBTQ; la seconda quella della sua comunità rom, nella quale non esiste neanche una parola per definire le persone gay. Di seguito l’intervista per Repubblica.it
VALTER Halilovic sta per partire da Torino per Roma, per partecipare all’Europride. All’ultimo momento viene a sapere che dalla sua comunità torinese parte una folta delegazione per l’incontro con il Papa, e riesce a trovare posto. Alle 12 di sabato in Vaticano con i Rom ricevuti da Benedetto XVI. Alle 16 in piazza all’Europride, dove si aspetta di sfilare con altri gay Rom. “Si era parlato persino di fare un carro zingaro, ma per questa volta non credo che ci sarà”.
Ho incontrato Valter perché avevo chiesto a conoscenti operatori rom se a loro volta conoscessero uno “zingaro musulmano omosessuale”. L’avevo chiesto quasi per scherzo, per polemizzare coi manifesti milanesi sul rischio della “zingaropoli islamica” e coi titoli di Libero sulla “mecca gay” che Pisapia avrebbe propugnato. “Certo che esiste – mi avevano risposto – e non è un timido emarginato, è un mediatore culturale.” Ed eccomi a parlare con questo 32enne dall’accento completamente italiano, nato a Torino ma di nazionalità bosniaca, e di matrice musulmana.
Non è un po’ strano, per un musulmano, andare dal Papa e poi all’Europride?
“In effetti mia nonna, che era la più religiosa della famiglia e che faceva le preghiere e il Ramadan, si rivolterebbe nella tomba. Io non sonoreligioso, e osservo che in generale i Rom non lo sono molto e conservano tracce di varie religioni contemporaneamente. Quanto al Papa, ci vado per curiosità e perché per noi questo incontro in Vaticano è comunque un riconoscimento e un riscatto”.
E omosessuale lo sei apertamente nella tua comunità?
“Lo sanno tutti, benché io non vada in giro a dire ‘sono gay’, anche perché la parola in romanè non esiste, si usano sinonimi più volgari. Però non ho mai nascosto niente e ho sempre molto ironizzato. Con l’ironia, scherzando, ho evitato di essere messo in difficoltà. Del resto mi rispettano perché sono uno dei più informati e attivi nella difesa dei nostri diritti. L’ho preso un po’ da mia madre, che sa tante lingue e che è stata una dei leader della nostra comunità”.
Vieni quindi da una famiglia rom privilegiata, integrata?
“Mia madre ha messo al mondo 12 figli, e in 10 siamo vivi. Ho 4 fratelli e 5 sorelle. Quando sono nato non vivevamo neanche nel campo rom, ma in giro da soli e basta. Eravamo girovaghi, nomadi per tutto il Nord, e vivevamo sostanzialmente di elemosina. Poi abbiamo cominciato ad abitare in campi e, noi più piccoli, ad andare a scuola. Ci hanno dato una casa popolare solo pochi anni fa”.
Ti sentivi omosessuale già da piccolo?
“In un certo senso sì. Tra l’altro a sette, otto anni giocavo con le bambole con le mie sorelline. I miei genitori pensavano che fosse una fase. Poi, a undici anni sono stato iniziato al sesso da un parente lontano un po’ più grandicello, ne aveva quindici. Non non ti scandalizzare, noi a quell’età siamo più ‘grandi’ di voi. A 11-12 anni sei già adolescente, a 15 sei un giovane. A 16 ti sposi, nel senso che fai il rito rom, che poi è fidanzamento e matrimonio assieme”.
E tu come hai fatto a evitare la convenzione sociale eterosessuale?
“Non l’ho evitata del tutto. A 17 anni mi sono sposato con una ragazza, non ero sicuro di come ero, volevo provare. E poi ho capito abbastanza presto che non era la mia strada, ci siamo separati da buoni amici. Da allora ho avuto anche varie relazioni, con maschi sia rom che italiani”.
Immagino che fra i rom l’omosessualità sia un tabù…
“Sì, ufficialmente lo è ma in realtà… se prendi l’iniziativa quasi tutti ‘ci stanno’. L’importante è essere sicuri dentro di sé, e io sono stato bene perché mi sono accettato abbastanza presto. Ne conosco altri che non ti parlerebbero mai della loro omosessualità come sto facendo ora con te. Adesso vediamo chi c’è al Pride…”.
Pensi che i campi rom debbano e possano essere eliminati e che tutti dovrebbero avere una casa popolare come quella in cui vivi adesso con la tua famiglia?
“Organizzare si, eliminare no: non so se sia possibile e non so neanche se sia giusto eliminare i campi. Ti confido una cosa: non sempre sono felice di abitare in casa. I campi rom, quando si risolvono i problemi di riscaldamento e docce, sono una bella situazione, simpatica. E’ un po’ come stare in campeggio. E poi a me piace la stufa a legna”.
Come sei diventato mediatore culturale?
“Da una disavventura che poi alla fine si è rivelata positiva. Una sera, ancora minorenne, ero in giro con dei ragazzi un po’ più grandi e spregiudicati di me, avevano rubato un’auto e io sono rimasto con loro. Così hanno arrestato anche me. Il Tribunale dei minori mi ha concesso il perdono giudiziario a patto che io frequentassi dei corsi professionali. Adesso aiuto col mio lavoro anche altra gente, non solo rom, per esempio i profughi del Darfur”.
E che cosa ne pensi della destra che parla contro gli zingari, gli islamici, i gay?
“Mamma mia, se avessero vinto le destre di nuovo, avrei pensato di cercare lavoro all’estero. La sinistra? A Torino, anche se non posso votare, ho appoggiato una candidata del Pd, Ilda Curti. Però, sai, la ‘zingaropoli islamica’ e la ‘mecca gay’, per me sarebbero una manna dal cielo”.