Di Luisa Cutzu il 9 Marzo 2020. Nessun commento
Vi ricordate The Chart, il grafico realizzato da Alice Pieszecki (Leisha Hailey), una delle principali protagoniste di The L Word? Lo scopo dello schema era quello di mettere in luce le varie relazioni e le connessioni tra le donne della comunità LGBT+ di West Hollywood. Potremmo ideare un Chart anche per fare luce sugli intrecci tra registe, sceneggiatrici e attrici che si sono mosse non solo nello spazio relativo alla serie tv ma anche nel primo cinema lesbico New Queer. Facciamo (dis)ordine. La serie tv The L Word è stata ideata e scritta da Ilene Chaiken, insieme a Guinevere Turner e Rose Troche. Troche è regista e sceneggiatrice di Go Fish*, interpretato, tra le altre, da Guinevere Turner, all’epoca anche sua compagna. Turner, attrice, sceneggiatrice e regista, ha lavorato anche in altri importanti film lesbici dopo il suo debutto con Go Fish. Ricordiamo, ad esempio, The Watermelon Woman** e Itty Bitty Titty Committee.
The Watermelon Woman è scritto e diretto da Cheryl Dunye, regista di stampo femminista e autrice di cinema sperimentale.
Itty Bitty, invece, è un film del 2007, diretto da Jamie Babbit, a tematica femminista e LGBT affrontata in chiave pop. Babbit è nota per aver diretto altri lavori a tematica lesbica come Gonne al bivio (traduzione improbabile dell’originale But I’m a Cheerleader) che vede come protagonista Natasha Lyonne, attrice lesbica e tornata all’attenzione del grande pubblico grazie a Orange Is The New Black. Lyonne e Babbit hanno inoltre lavorato insieme nella serie tv Russian Doll.
Insomma, il grafico ideato da Alice pare possa essere applicato anche in altri ambiti oltre quello relazionale e sentimentale. Come spiegato all’inizio, nella serie televisiva, il Chart serviva come spunto di partenza per raccontare le vicende, amorose e non, che intercorrevano all’interno di un gruppo di donne e «affrontare tutte le possibili varianti dell’universo lesbico» (Fabbri, 2013). La serie televisiva, prodotta da Showtime e andata in onda dal 2004 al 2009, è composta da sei stagioni; in Italia è arrivata grazie a La7 nel 2005. È stato un punto di svolta nell’immaginario lesbico collettivo perché, sebbene racconti la vita di un gruppo di amiche lesbiche tutte belle, interessanti e con lavori importanti nella quale è difficile che tutte possano riconoscersi, la serie tv con le sue personagge e le dinamiche che loro ordiscono è riuscita a entrare negli schermi televisivi di tutto il mondo.
The L Word – Generation Q, creato da Ilene Chaiken, Kathy Greenberg e Michele Abbott, è il sequel di The L Word. Oltre a poter vantare la presenza della stessa ideatrice della prima generazione, Generation Q vede tra le protagoniste Alice, Bette (Jennifer Beals) e Shane (Katherine Moennig), le tre colonne portanti dell’intera narrazione. La serie, la cui produzione era stata già confermata nel 2017, è andata in onda nel 2019 sempre su Showtime; nel gennaio del 2020 è stata rinnovata per una seconda stagione.
Come la prima generazione, anche la seconda racconta la vita di un gruppo di personaggi appartenenti alla comunità LGBT+ alle prese con la quotidianità, il lavoro, gli amori, le aspettative e le delusioni tipiche della giovane età. I volti nuovi affiancano senza timore queste tre madri putative che, nel corso delle puntate, fungono da esempio e guida, seppure ancora aggrappate alle loro contraddizioni e debolezze.
Ritengo non sia saggio fare un paragone tra le due generazioni per cercare di capire quale delle due sia stata più rappresentativa di un’epoca o più adatta a creare empatia con un pubblico di giovani LGBT+. Entrambe, infatti, sono arrivate al momento giusto mettendo in discussione tematiche che, con l’avanzare del tempo, sono diventate centrali. Pensiamo, ad esempio, alla relazione poliamorosa di Alice, vissuta con estrema naturalezza tra lei, la compagna e l’ex moglie della compagna; alla transessualità sempre meno problematica di Micah che, consapevole del suo corpo, comincia una relazione amorosa con un ragazzo fino a sentirsi libero di presentarlo alla madre come suo fidanzato; al percorso intrapreso da Bette, madre single di una figlia lesbica, per diventare sindaco di Los Angeles, che non si lascia intimidire dagli scandali e dalle malelingue per portare avanti la sua idea di politica. Esempi freschi e attuali che cercano di adattarsi al mondo che cambia sempre più velocemente.
Da un punto di vista narrativo, l’intera stagione mette in luce una serie di criticità che già erano ravvisabili nella prima generazione. Il desiderio di risultare appetibile per una fetta sempre crescente di pubblico spinge la storia a conclusioni affrettate, spesso a scapito dello sviluppo di alcuni personaggi che rimangono fissati al passato oppure del tutto messi da parte.
Dopo il cliffhanger, tanto telefonato quanto necessario per tenere sulle spine il pubblico, non ci resta che aspettare la seconda stagione per continuare a seguire le vicende di questo gruppo così variopinto di persone che, non solo mettono in luce tutti i colori dell’arcobaleno, ma rappresentano la nostra Generation Q.
* Go Fish: film del 1994, diretto da Rose Troche. Il titolo significa “andare a donne”, come sottolinea Federica Fabbri nel suo volume. La pellicola racconta le vite di un gruppo di lesbiche di Chicago, ritratte nella loro quotidianità. È un lavoro importante e significativo perché, oltre ad essere uno dei più importanti film del New Queer Cinema, sancisce l’inizio della nuova ondata di New Lesbian Film.
** The Watermelon Woman: film del 1996, diretto da Cheryl Dunye. Regista liberica, cresciuta a Philadelphia, si è formata cinematograficamente in ambito accademico. Questo le ha permesso di affinare le sue conoscenze non solo del cinema e delle sue forme, ma anche delle teorie e del cinema femminista. The Watermelon, un misto tra cinema documentario, sperimentale e narrativo, rientra nel filone del New Queer; fortemente autobiografico, nasce come sperimentale ma riesce comunque a trovare una distribuzione nelle sale.
Riferimenti bibliografici
Federica Fabbri, Visioni lesbiche, 40k Unofficial, 2013.
Veronica Pravadelli, Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici, Editori Laterza, Lecce 2014.
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