Sono trascorsi sedici anni da quel 13 gennaio 1998 quando Alfredo Ormando decise di darsi fuoco in piazza San Pietro per puntare i fari sull’omofobia della chiesa cattolica che, ieri come oggi, tace.
Sono passati sedici anni da quando, il 13 gennaio 1998, Alfredo Ormando, cattolico e omosessuale siciliano, si diede fuoco in piazza San Pietro a Roma, per protestare – con straordinaria capacità di anticipazione sul futuro – contro la persecuzione che lui sentiva di subire da parte delle gerarchie della chiesa cattolica. Dal canto loro le gerarchie cattoliche allora spiegarono che il luogo scelto per il martirio non aveva nessun significato particolare, salvo poi essere smentite da una lettera inviata all’ANSA dallo stesso Ormando, prima di compiere il suo gesto:
Ho deciso di trasformare in urlo e in segno indelebile il mio corpo di uomo che ama un altro uomo, di gridare tutto ciò che la Chiesa non vuole vedere. Il mio corpo sarà la penna, si consumerà scrivendo la mia parola che nessuno potrà cancellare, il mio inchiostro sarà la benzina.
L’attualità ci ricorda che in questi sedici anni non è cambiato molto, anche se in molti vogliono vedere in papa Francesco un certo barlume di speranza.
Nella lettera inviata all’ANSA, Alfredo Ormando ha raccontato:
Sono, partito da Palermo ieri sera in treno. Un viaggio interminabile per arrivare qui, sotto l’imponente colonnato in questa rigida mattina. Oggi è il 13 del mio ultimo gennaio, del mio ultimo anno, il 1998. Ho comperato la benzina presso un distributore automatico vicino San Pietro. Ho nascosto la tanica in una borsa nera. Ma ora, prima di darmi fuoco, sento i ricordi che non vogliono lasciarmi e li accolgo nel grembo della mia mente che per me è ospitale come il grembo di donna ed è l’unico luogo di libertà che io abbia mai conosciuto.
Seguiva poi un duro atto di accusa nei confronti della chiesa cattolica:
Mi farò torcia umana e scriverò parole che non potranno essere ignorate. Visto che hanno messo Cristo in croce capiranno che cos’è il sacrificio e almeno dentro di loro l’eco delle mie parole procurerà un sussulto.
Prevedendo le parole che si sarebbero scritte e dette sul suo gesto, Alfredo Ormando, lucidamente, notava:
Le gerarchie cattoliche arriveranno a dire che mi tolgo la vita per malattia, o debolezza, e non per urlare loro l’ingiustizia che infliggono agli omosessuali in questo Paese. Ed è per questo che nel mio giubbotto, che ho poggiato per terra, sui lastroni calpestati da migliaia di fedeli, ho lasciato una lettera di denuncia. Almeno le parole di un morto, di un martire, le leggeranno. Bisogna ammazzarsi per farsi sentire.
La scelta di compiere l’estremo gesto dinanzi a piazza San Pietro è stata ponderata e non certo casuale:
Ma se mi fossi ammazzato in Sicilia non mi avrebbero ascoltato. E sono dovuto partire. Io mi sto trasformando nel mio assassino, qui dinanzi agli occhi innocenti di Gesù che amo. Sono dietro a un vetro, il novanta per cento della pelle è ustionata, le telecamere dei tiggì mi inquadrano. Lo so, non mi salverò. Il mio corpo è la mia parola. Finalmente ascoltata.
Purtroppo il suo gesto passò quasi del tutto inosservato agli occhi dei media, come nota amaramente Gabriella Lettini nel suo breve saggio sull’omosessualità:
Che cosa dire della banalizzazione e del menefreghismo nei confronti della sofferenza di uomini e donne omosessuali, come nel caso del giovane disoccupato gay datosi alle fiamme davanti a San Pietro a Roma? Il giorno dopo i telegiornali italiani non dicevano nulla della sua situazione di salute, ma trasmettevano un servizio sul fatto che per la prima volta il papa aveva ricevuto un serpente durante un’udienza in Vaticano.
In occasione del Natale del 1997, Alfredo Ormando scrisse a un amico:
Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia.
Avranno capito?