La mattina del 12 Giugno, Omar Mateen entra in un locale gay di Orlando, in Florida, e uccide 49 persone ferendone altre 50. Follia, terrorismo o omofobia?
La domanda attraversa le redazioni, le amministrazioni, i partiti come la gente comune e la risposta dipende dalla visione individuale e dall’opportunità politica. Per la destra e gli attivisti antigay si è trattato di un atto terroristico e la risposta deve essere un giro di vite all’immigrazione musulmana. Per altri un atto di follia legato alla distribuzione delle armi negli USA. Per le associazioni LGBT invece, un chiaro atto di omofobia. In realtà era un po’ tutto: Mateen seguiva da qualche tempo un predicatore della Jihad, ha comprato le armi in un supermercato e ha scelto le vittime seguendo il suo odio. Atto “purificatore” indotto dai sensi di colpa di un’omofobia interiorizzata o punizione di “peccatori” che l’Isis butta dalle Torri: comunque sempre omofobia. Incarcerati, torturati o anche uccisi in alcuni paesi africani e mediorientali, perseguitati in Russia e in Cina, emarginati e discriminati in tanti paesi occidentali, gay, lesbiche e trans sono uno dei gruppi sociali che maggiormente polarizza il confronto politico e religioso.
Alcuni commenti alla strage di Orlando sono sintomatici dell’esasperazione di un odio costantemente alimentato: “ecco cosa può accadere nella vita reale quando un povero ragazzo deve assistere allo spettacolo di due uomini che si baciano in una pubblica via”. I baci in pubblico e “l’ostentazione” dei Pride sono, per alcuni, la causa della strage. La vittima sale sul banco degli imputati: è stato il suo comportamento, offensivo, disgustoso o provocatorio, ad armare la mano dell’assassino. Un incredibile ribaltamento delle responsabilità che ritroviamo nei commenti ai numerosissimi casi di violenza, stupro o femminicidio. Gli stupratori sono degli ingenui traviati da delle “poco di buono” che provocano, cercano divertimento per poi pentirsi ed inguaiare i malcapitati. Umiliazione, squalificazione e colpevolizzazione della vittima sono elementi ricorrenti nei casi di discriminazione sessuale. La violenza, come declinazione impropria della forza, è una prerogativa maschile ed è provocata dalla mancata adesione al ruolo e ai comportamenti socialmente e culturalmente normati. Gay e lesbiche troppo visibili, donne emancipate ed autodeterminate, transessuali poco remissivi. Davanti a pregiudizi così interiorizzati, culturalmente e socialmente, da diventare reazioni viscerali non sempre razionalizzabili, la risposta non può essere semplicemente repressiva. Occorre educare al rispetto di tutte le diversità attraverso il contrasto degli stereotipi e della violenza di genere e l’apertura di un processo di liberazione delle identità, dei sentimenti e delle relazioni.