Potrebbe essere una buona notizia per quelli che invece di “dirlo con una rosa” preferiscono arrivare subito al dunque: il fiore rosso e le spine sul gambo, d’altronde, le aveva anche il pene. Riportiamo a riguardo l’articolo pubblicato oggi da Focus.it
NEW YORK. Si è sempre pensato che l’uomo avesse qualcosa in più rispetto agli altri animali: più geni, più evoluzione, più complessità. Ma un’analisi approfondita del genoma dell’uomo, messo a confronto con quello di altre specie a noi imparentate (scimpanzè e macaco) ha invece rivelato che la nostra evoluzione si basa sulla sottrazione, e non solo sull’addizione.
Cacciatori del Dna perduto
Alcuni ricercatori della Stanford University (USA) hanno (virtualmente) appaiato il patrimonio genetico delle tre specie e hanno così scoperto che, in alcune zone dei cromosomi, quello che ci distingue dalle altre specie sono le delezioni, cioè appunto le mancanze.
Quello che manca, inoltre, non sono geni veri e propri (cioè lunghe stringhe di Dna che codificano per una proteina) ma regioni regolative. Sono tratti di Dna non codificanti, che cioè hanno il compito di modulare i geni veri e propri, a volte aumentandone l’azione, altre volte bloccandola. L’analisi di queste delezioni, in totale 510, ha portato anche a scoprire cosa accade quando queste regioni non sono presenti.
Così il pene perse le spine
Una delle più curiose ha avuto come conseguenza la perdita di spine sul pene, strutture presenti in molti mammiferi, con funzioni ancora non del tutto chiarite. Secondo i ricercatori, questa mancanza ha portato nell’uomo a un diverso rapporto di coppia, più volto alla monogamia di altre scimmie; questo a sua volta ha indotto anche a un aumento delle cure parentali.
Mancanze vantaggiose
Ma la delezione più importante potrebbe essere quella di un tratto di Dna accanto a un gene implicato nella soppressione del tumore. Poiché questo gene agisce soprattutto nel cervello, l’abolizione del controllo della crescita cellulare (perché questo in fondo è un tumore, una crescita cellulare eccessiva) potrebbe aver portato a un aumento delle dimensioni del cervello stesso, con ovvie conseguenze per l’evoluzione umana.
Causa-effetto o selezione naturale?
Non c’è però necessariamente un rapporto causa effetto tra queste perdite e l’evoluzione umana; la spinta scatenante avrebbe potuto essere “esterna”, dovuta cioè alla selezione naturale; modifiche del comportamento alla specie umana – per esempio cambiamenti ambientali o spostamenti – avrebbero potuto portare alla perdita di alcune regioni regolative dei geni perché non più necessarie alla nuova situazione, e non l’opposto.
Capire la nostra evoluzione non significa quindi solamente studiare ciò che noi abbiamo in più rispetto agli altri primati, ma anche cercare quel che manca, non quel che c’è.