Odio “irrazionale”, ignoranza e una ridicola difesa del “fantomatico onore” della tradizione.
È quello che sta accadendo ad Alessandra Garau, un po’ di omotransfobia e misoginia miste ad una totale incapacità a distinguere la tradizione dal folklore. L’abito sardo diventa quindi “il costume”, come quello di una rappresentazione teatrale e non della vita reale, quella vissuta da persone vere e non figuranti (così vengono chiamati i/le partecipanti alle processioni).
Questo “vizio” di voler proteggere a tutti i costi l’onore sardo, non è cambiato da quando, negli anni ’90, i famosi difensori di una pseudo balentia offesa, strappavano i manifesti per rabbia contro il nostro logo, i 4 mori che si baciano. Troppo per un sardo doc. Eppure quei 4 mori sono stati un aiuto per tante persone e una guida per tante altre. E ci hanno portato a vivere ogni luogo e ogni realtà della Sardegna dove adesso, la maggior parte delle persone, quei mori li amano, perché sono il simbolo del rispetto e dell’accoglienza che sono il vero patrimonio della nostra cultura.
Alessandra Garau rivendica la libertà di essere sé stessə sulla propria terra e in sintonia con la storia, le tradizioni, la natura. Una libertà che supera i confini della normatività “tradizionale” (principalmente maschile), e che rielabora il proprio vissuto in sintonia con l’evoluzione sociale. Una tradizione come patrimonio collettivo e non un feticcio da preservare. Una società più aperta e inclusiva, più rispettosa e civile ma senza perdere il suo fascino estetico e interiore.
Per tutte le altre persone, le opere di Alessandra Garau verranno esposte al 17 al 24 giugno presso la biblioteca di Piazza Fiume. La mostra si inserisce nel percorso Diritti al Pride che ci condurrà al Sardegna Pride del 2 luglio.