Ultimo interrogatorio nel processo contro i due poliziotti che nel 2005 ispezionarono le parti intime dei candidati Mele e Giuliani alla ricerca di armi. L’ispettore Masia: “Io non ero presente ma Mele mi disse che era stato umiliato”.
Sassari. Si chiude l’istruttoria del processo che vede imputati i due poliziotti di Lecce Antonello Casto e Guglielmo Cirino per abuso di potere e ispezione personale non autorizzata nei confronti di Massimo Mele, all’epoca candidato a sindaco per “Liberiamo Sassari” e Paolo Giuliani, candidato nella stessa lista. Nella mattinata di ieri l’interrogatorio dell’ultimo teste chiamato dalla difesa, l’ispettore Masia, capoturno della centrale operativa della questura in servizio la notte del 24 aprile 2005.
“Io ho supervisionato il lavoro dei colleghi, nella fattispecie, la redazione dei verbali” dice Masia. “Quindi lei ha letto i verbali” chiede il Giudice. “No, non li ho letti” risponde Masia. “Ma allora che cosa ha supervisionato?”, incalza il Giudice, “ma, … che tutto andasse bene, …, il mio compito è garantire il rispetto dei diritti e delle leggi, …. e dovevo garantire la dignità dei fermati ..”. “Quindi lei era presente alle perquisizioni” rincara il giudice, “No, sono arrivato solo dopo”. “Ma scusi, come ha fatto a garantire la dignità e i diritti dei fermati se non era presente e come ha supervisionato la redazione dei verbali se non li ha letti?”. Sono solo alcuni dei passaggi tra il ridicolo e il paradossale che hanno condito la deposizione, piuttosto lunga, di un teste che la difesa, a conti fatti, avrebbe prefrito non esibire. Il teste si contraddice di continuo “Si, Mele lo conoscevo”, sostiene Masia. “Ma allora perchè per liberarlo è stato necessario che un civile, Gavino Sale, garantisse con la sua patente?”. Tra continui non so, non ricordo e contraddizioni evidenti si consuma l’ultimo atto di un processo chiaramente sottovalutato dalla Questura e dagli stessi poliziotti ma che, allo stato attuale, volge interamente a favore delle parti offese.
I FATTI – L’ultimo sabato utile nella campagna elettorale del 2005 i candidati della lista Liberiamo Sassari, tutti omosessuali, vennero fermati in corso Vico. “Girare alle due di notte in città è sospetto” la motivazione. Dopo il controllo dei documenti vengono perquisiti uno ad uno: gambe divaricate, allargate con dei calci, mani sul cofano e perquisizione approfondita in mezzo alla strada illuminata dai lampeggianti blu. Sembra una grossa operazione antidroga e le macchine che passano rallentano con i passeggeri incuriositi incollati ai finestrini. Tra questi anche altri candidati della lista che accostano e controllano tutta la scena, così come testimonieranno in seguito al processo. Ma l’umiliazione inflitta non basta. I militanti gay vengono condotti in Questura dove subiranno un’accurata ispezione personale, costretti a fare flessioni e a piegarsi per permettere ai due “poliziotti” di infilare le mani “alla ricerca di armi”. L’incubo finisce alle 6:00 del mattino quando, su pressione delle decine di persone accorse, tra amici e candidati di altre liste, i due poliziotti si rendono conto di avere esagerato e decidono di smetterla.
Massimo Mele e Paolo Giuliani non ci stanno a lasciar perdere e, passata la campagna elettorale, procedono con la denuncia. Per due volte il pm richiede l’archiviazione e per due volte l’avvocato Pina Zappetto, che rappresenta Mele e Giuliani, presenta opposizione La seconda volta con l’aggiunta delle deposizioni raccolte di alcuni testimoni. Letti gli atti il GIP imporrà al pm di formulare le accuse e, nel 2008, inizia il processo che si concluderà, probabilmente, il prossimo Febbraio, quando, salvo colpi di scena, il giudice emetterà, finalmente, il verdetto.
Da la Nuova Sardegna dell’8 Ottobre 2010
Sfilano altri testi al processo per la perquisizione al leader del Mos Massimo Mele
SASSARI. «Tutto quello che hanno fatto i colleghi era legittimo». Secondo il capoturno della centrale operativa della questura in servizio la notte del 24 aprile 2005, la perquisizione personale cui vennero sottoposti il leader del Mos (Movimento omosessuale sardo) Massimo Mele e Paolo Giuliani fu una operazione regolare. Ieri il poliziotto ha testimoniato al processo che vede Antonello Casto e Guglielmo Cirino, poliziotti di Lecce, accusati di abuso di autorità nei confronti dell’ex candidato sindaco della coalizione «Liberiamo Sassari».
Il testimone, citato dagli avvocati difensori Pierangelo Trudda e Salvo Fois, ha risposto alle domande della difesa, del pm Giuseppe Sanna, dell’avvocato di parte civile Pina Zappetto e del giudice Giuseppe Grotteria. Mele e Giuliani sostengono di avere subìto una umiliante e ingiustificata ispezione corporale. Oltre ad asserire la correttezza dei colleghi, all’epoca in città per la campagna elettorale delle amministrative, il teste ha detto di non avere assistito alle perquisizioni. «Mele mi disse che si sentiva umiliato – ha detto – perché gli erano stati fatti calare i pantaloni». Ma la parte civile pensa che quella notte, in questura, qualcuno abbia abusato del suo ruolo. Il processo prosegue.
Da Unione Sarda dell’8 Ottobre 2010
Agenti alla sbarra: un fiume di domande per raccontare la strana perquisizione dei componenti del Mos, il movimento omosessuale sardo.
Sul banco degli imputati ci sono Guglielmo Cirino e Antonello Castro, i poliziotti accusati di aver eseguito una perquisizione troppo scrupolosa su Massimo Mele, presidente del Movimento omosessuale sardo e altri attivisti, fermati per un normale controllo la notte del 24 aprile del 2005.
A testimoniare è l’ispettore Masia, responsabile, a quei tempi, della centrale operativa della Questura di Sassari e chiamato in aula dai difensori degli imputati. All’ispettore gli avvocati chiedono modalità e tempi di quell’ispezione. Ma per il giudice Giuseppe Grotteria alcuni passaggi restano poco chiari. Il magistrato incalza l’agente: «Lei era presente o no al momento della perquisizione? Perché, qualche minuto fa, lei ha assicurato di essere andato in archivio a prendere le schede per identificare i fermati, poi ha aggiunto di aver visto nella sala delle perquisizioni i suoi colleghi insieme alle persone da identificare e ora ci dice che a quelle perquisizioni non ha assistito. Lei ci ha detto che quella notte ha lavorato come supervisore alle operazioni. Ma che i verbali non li ha redatti lei e non li ha neppure letti. Insomma, lei che cosa ha fatto?», insiste il giudice al termine di un esame e di un controesame che hanno cercato di chiarire il ruolo avuto dall’ispettore della Questura sassarese quella notte di cinque anni fa. L’ispettore precisa, chiarisce, illustra, a volte non ricorda e alla fine conclude il suo racconto. Poco prima delle due del pomeriggio l’udienza si chiude, i testimoni sono stati ascoltati tutti, si fissa il nuovo rinvio. Ora, la decisione del giudice su quella perquisizione incriminata sembra vicina. (m.c.)