«La denuncia degli attivisti lgbt+ è che decine di donne trans sono state maltrattate e respinte mentre cercavano, come tutte le altre donne, di attraversare il confine. “Tecnicamente, la legge marziale si applica anche alle persone trans, compresi gli uomini trans e le donne trans che non hanno cambiato i documenti – spiega Olena Shevchenko, attivista per i diritti umani e presidente di Insight, associazione LGBT+ ucraina -. Ma a quanto pare, le guardie di frontiera ucraine stanno impedendo di lasciare il Paese anche alle donne trans che hanno documenti validi che certificano la loro identità di genere. Nessuno sa il perché”».
È di qualche giorno la notizia relativa al trattamento che le persone trans stanno subendo in Ucraina. Come se non fosse già sufficientemente drammatico vivere in un territorio in cui si sta consumando l’ennesimo conflitto armato, le persone trans sono costrette a subire discriminazioni e trattamenti sgradevoli che sviliscono il loro percorso personale.
I pochi diritti raggiunti dalle persone LGBTQ+ in Ucraina (solo dal 2016 alle persone trans è concessa la possibilità di cambiare il proprio nome sui documenti di identità anche senza che venga eseguita l’operazione di riassegnazione del sesso), sono stati cancellati dalla legge marziale e da un ingiustificato senso di patriottismo risvegliato da un presidente profondamente guerrafondaio.
Parliamo di un paese in cui il Pride, per quanto partecipato, deve sfilare accompagnato dai militari che proteggono lə attivistə da una popolazione omofoba.
Nella giornata di oggi, Transgender Day of Visibilty, ci è sembrato opportuno rilanciare le voci e le esperienze raccontate direttamente da chi le ha vissute.
Una guerra sbagliata, un gioco al massacro dove a farne le spese sono civili, molti dei quali non possono neanche esprimere il loro pacifismo. Noi siamo dalla parte dei popoli, siamo dalla parte di chi lotta in maniera pacifica e di chi persegue una libertà senza confini.