Di Luisa Cutzu il 20 Agosto 2020. Nessun commento
Just Charlie di Rebekah Fortune, film britannico del 2017, trova distribuzione in Italia solo a gennaio 2020.
La pellicola racconta la storia di Charlie (Harry Gilby), calciatore in erba, che comincia a manifestare sofferenza perché non si sente più a suo agio in un corpo maschile. Dalla paura iniziale, si passa ad un sempre più strutturato tentativo di comprendere cosa sta accadendo al giovane ragazzo, grazie anche all’appoggio crescente della famiglia e del contesto sociale nel quale è inserito.
Parlare di transessualità e transgenderismo, quando si manifesta in giovanissima età, non è affar semplice. Ci hanno provato, tra i più recenti, Tomboy di Céline Sciamma, Girl di Lukas Dhont e A kid Like Jake di Silas Howard. In tutti questi lavori, compreso Just Charlie, è la famiglia come punto di riferimento a fare la differenza.
Just Charlie non è un film perfetto, però ha un pregio: cerca di farsi strada tra un pubblico poco abituato a tematiche così delicate, con un’intelligente leggerezza. Serve a poco, forse, sottolineare imprecisioni e sbavature di una sceneggiatura apparentemente semplice.
La storia è raccontata dal punto di vista del giovane Charlie: è un giovane quattordicenne, una promessa del calcio che riceve addirittura un ingaggio dal Manchester City. Non potrebbe accadergli nulla di meglio, il suo futuro pare essere già costruito soprattutto agli occhi del padre che vede nel talento di Charlie un modo per rivalersi nei confronti della sua vita, che al contrario è solo un susseguirsi di delusioni. Charlie però non è felice, sente il peso della responsabilità nei confronti del padre, ma il calcio non è più il suo vero interesse. È sempre più distratto e insofferente e tende a nascondersi per potersi vestire da donna lontano da occhi indiscreti.
Se da un lato viviamo come negativi gli stereotipi di genere, mai come in questo caso sono utili per convogliare una narrazione e portare il pubblico, anche il più distratto, nella direzione che il film vuole intraprendere: comprendere le paure e le emozioni di una persona che sente il disagio del proprio corpo biologico.
Nel corso del film assistiamo a tanti piccoli episodi quotidiani che una giovane persona trans* è portata a vivere: l’impatto sulla famiglia, sulla scuola, sugli amici, sulle compagne e i compagni di squadra. Ogni individuo è portato a reagire in maniera più o meno positiva davanti alla novità del cambiamento.
Sono però gli stessi stereotipi a lasciare il film a un grado superficiale. Se da un lato, infatti, i vari episodi che si susseguono nella vita di Charlie ci offrono la possibilità di avere un quadro generale di ciò che sta vivendo, dall’altra percepiamo un’assenza di approfondimento nell’analisi delle varie problematiche.
Insomma, pregi e difetti si annidano tra le stesse pieghe di questo film ora dolce ora patinato. Bisogna però riconoscere la sua carica di positività: a ogni problematica corrisponde una gestione matura e ragionata, come a dirci che le vere difficoltà stanno negli occhi di guarda e negli occhi di chi è vittima di sovrastrutture sociali. Ad un occhio puro e quasi incosciente, Just Charlie arriva come un’ancora di speranza alla quale aggrapparsi.
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