C’è un pratica antica, strettamente legata alla famiglia, un tempo compito privilegiato della massaia: far tornare i conti, calibrare le spese perché il piatto non sia troppo pieno ma pieno quanto basta per mangiare tutti i giorni.
I tempi sono cambiati, almeno in parte. Oggi a far quadrare i conti non ritroviamo solo le massaie, abbiamo, di fatto, famiglie differenti, risposta naturale ad una società mobile che si è evoluta.
Insomma non bisogna essere sapienti sociologi, basta guardarsi intorno, basta guardare noi stessi. Il legame di sangue non è più un vincolo fondamentale per formare famiglia. Per fare fronte alla difficoltà di avere un tetto, gruppi di persone decidono di convivere, dividendo spese e responsabilità. Legami di solidarietà che contribuiscono a costruire il nostro tessuto socio-economico. Poi ci sono le famiglie allargate e quelle lesbiche, gay, trans che a loro volta creano legami affettivi nella condivisione di spazi, compiti responsabilità. Così la figura della brava massaia, in periodo di crisi economica e Spending Review, torna alla ribalta ma con caratteristiche differenti.
Il problema fondamentale rimane lo stesso: e quando i conti non tornano?
Scatta lo stato d’emergenza. Come abbiamo visto in questi giorni, tra i banchi della Regione Lazio, frugando tra i portafogli dei consiglieri ci siamo accorti che le somme, le divisioni e le moltiplicazioni proprio non quadravano. Tutto è cominciato facendo i conti in tasca a Fiorito, area ex AN. A seguire, conto su conto, il cerchio si è allargato svelando uno scenario di corruzione e di connivenze tra i più classici: spartizione di soldi, alberghi di lusso, cene a base di ostriche e champagne, cure estetiche, spartizioni di denaro pubblico; insomma, piatti troppo pieni. La trama si snoda tra interviste, smentite, accuse, lunghi speciali televisivi a staffetta da un canale all’altro. Le grandi star sono loro, i signorotti del Lazio. Intanto noi, li ascoltiamo attenti, assistiamo a pianti e prepotenti difese, scene che hanno dell’assurdo e giustificazioni che sembrano scritte dallo sceneggiatore di una soap a costo zero, fino alle dimissioni della presidente Polverini, indignata e offesa. Il dado è tratto quindi. La giustizia ha vinto.
No, i conti, non tornano ancora; basta ascoltare il lieto sottofondo delle dichiarazioni dei protagonisti della vicenda Lazio per capire il senso profondo di certe pratiche: “Noi continueremo la nostra attività politica”.
A contorno di tutto, a non far quadrare i conti ci sono poi le dichiarazioni dei vescovi italiani, attraverso la voce di Bagnasco. Non si risparmia, il cardinale, e denuncia con forza il regime di corruzione emerso nelle sale della regione Lazio e della politica in generale. Lo fa con cognizione di causa, dimenticandosi però di fare i conti del buon massaio nella chiesa che rappresenta, coinvolta in scandali finanziari di non poco conto. Il presidente della CEI analizza la crisi, parla del precariato, dei giovani, indica le priorità del governo nella lotta alla corruzione. Poi un salto logico, sembra che la priorità di Bagnasco non sia più la corruzione ma il riconoscimento delle unioni omosessuali. Bisogna fare uno sforzo notevole per capire come il cardinale genovese sia riuscito ad accostare i due argomenti. Mette all’erta i politici e l’opinione pubblica davanti alle “conseguenze nefaste” che porterebbe il riconoscimento delle coppie omosessuali, e continua: “il pensare sociale ne viene pesantemente segnato e, di conseguenza, l’educazione dei propri figli”.
Ci chiediamo quali terribili conseguenze investirebbero il nostro pensiero e quali pesanti retaggi dovrebbe sopportare un figlio davanti al riconoscimento di un’ evidenza come le famiglie omosessuali?
Ma Bagnasco non si ferma e mette in guardia dagli ideologismi per poi finirci inevitabilmente dentro: “al di la’ delle parole, si vuol assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri…”.
Il dado è tratto una seconda volta… la logica del cardinale crea chiaramente un paradigma che accosta e pone sullo stesso piano, come causa del decadimento italiano, la corruzione e il riconoscimento delle unioni omosessuali.
Ma a noi, che i conti li sappiamo fare eccome, le cose non tornano.
Daniele Salis