«Chi dice che mi avete sfruttato è fuori strada. Il mio è stato solo un gesto d’amore», scrive Laura Hernandez, madre surrogata dei due gemelli che ora vivono felicemente con Michele e Adriano. “Che cosa succederà ai piccoli? Ve li porteranno via?” chiede preoccupata ai due papà. Laura è quella che la ministra Lorenzin chiama “ultraprostituta”, e considerata una povera donna sfruttata, e incapace di decidere liberamente, dalle “femministe” di SNOQ libere. Ma lei ha le idee piuttosto chiare, una famiglia alle spalle e una certa stabilità economica. Sa cosa si prova a desiderare un figlio e ha voluto rendersi utile dopo aver conosciuto la coppia di Vimercate, in Brianza. «Spero che tutto si risolva. E che Dio offra la capacità di amare a queste persone piene di dubbi» conclude Laura.
La capacità di amare. Forse è proprio qui il problema. Chi si erge oggi a paladino delle donne sfruttate, anche inconsapevolmente, anzi, soprattutto inconsapevolmente, qualche problema sembra averlo. La violenza verbale contro quello che loro definiscono “l’utero in affitto” ha superato da tempo i limiti della decenza. Ultraprostitute per Lorenzin, bancomat di bambini per la Santanchè, schiave fattrici per alcune femministe, criminali della peggior specie per Giovanardi: Più che una difesa delle povere donne sfruttate dalle ricche coppie occidentali sembra una gara a chi le umilia di più e a chi vuole togliere loro il diritto a scegliere come utilizzare il proprio corpo, ad autodeterminarsi. Si perchè la logica del divieto rimette in discussione quel principio dell’autodeterminazione faticosamente conquistato. “Che siano i cattolici a opporsi non stupisce: la dottrina morale della Chiesa non attribuisce alla volontà della donna un valore superiore alla vita del generato” scrive Michela Murgia dopo aver rifiutato di sottoscrivere l’appello di SNOQ libere contro la GPA “Assai meno coerente mi pare che a opporsi alla surrogazione siano persone che si richiamano ai valori che hanno permesso l’esistenza di una legge sulla libertà di scelta della donna in merito all’aborto, che mi sembra appartenere allo stesso ordine di senso.”.
Il punto infatti non è chiedere di discutere di una pratica che presenta notevoli punti oscuri, soprattutto se fatta in condizioni umilianti per la donna, con grave rischio per la salute e a costi bassissimi come in India. Ma se sia possibile anche solo ipotizzare, senza alcuna discussione come hanno fatto le “femministe” di SNOQ, insieme ad alcuni uomini piuttosto controversi come Aurelio Mancuso, ex presidente di Arcigay, che un divieto assoluto possa essere la soluzione. Secondo la Murgia assolutamente no perchè priverebbe le donne del diritto all’autodeterminazione sul corpo, ma anche perchè una legge non vieterebbe il ricorso alla pratica che se operata in clandestinità risulterebbe molto più pericolosa per le donne. Stesse motivazioni per Chiara Lalli, bioeticista e scrittrice, che si indigna “un appello che parte dal presupposto che le donne non possono scegliere, mai. Perché sono cretine, a quanto pare, secondo i promotori dell’iniziativa. Lo spirito che muove l’iniziativa è lo stesso atteggiamento paternalista e patriarcale che il femminismo ha sempre promesso di combattere.
Certo, la qualità dello sfruttamento non è sempre la stessa, passando da forme più blande e ambigue ad altre più evidenti e brutali, ma il dispositivo originario resta il medesimo. Mettere in discussione le singole manifestazioni di un potere così ramificato – e soprattutto radicato nella narrazione collettiva – in assenza di una critica radicale a questo sistema, risulta in una ipersemplificazione miope, che si illude di salvare le donne impedendo loro, in realtà, di utilizzare gli unici mezzi di sostentamento che attualmente hanno a disposizione – o gli unici che, in piena libertà e all’interno di un sistema di dominio che ci riguarda tutt*, sentono di eleggere a propria scelta autodeterminata – e dunque in sostanza, rendendole più povere e vulnerabili e privandole della libertà – che a questo mondo è soprattutto libertà economica – nell’illusione di averne preservato virtù e dignità.