Riola. Un’équipe medica segue anche i casi oristanesi come quello della fotografa.
La psicologa: «Tante le richieste per cambiare sesso»
Nell’Oristanese sono quattro i casi seguiti dall’équipe che gestisce lo sportello aperto da quasi due anni al Policlinico di Monserrato.
Giulia non è sola. Di sicuro è la più coraggiosa. E altruista, se ha deciso di raccontare la sua storia per aiutare gli altri che come lei vivono in un corpo che non riescono ad accettare. Lei, fotografa a Riola, da qualche mese ha trovato la nuova identità, ma il percorso di cambiamento non è ancora finito. Intanto spera che la forza per sconfiggere i pregiudizi sia contagiosa. Insieme a Giulia, c’è anche qualche altro oristanese che segue il percorso per cambiare sesso. Tre sono ragazzi che hanno sognato di essere donna, una invece è una giovane che ha iniziato il percorso contrario. Di tutti i casi si occupa ogni giorno un’equipe di psicologi ed endocrinologi che ha aperto uno sportello al Policlinico di Monserrato. Il progetto è partito a giugno 2010 ed è stato finanziato dalla Regione.Andrea Argiolas è la psicologa che tiene sotto controllo i “pazienti” prima della terapia ormonale. Il momento è critico, perché prima di tutto c’è da verificare quanto siano fondate le convinzioni. «Prima della terapia ormonale c’è bisogno di un lungo e approfondito trattamento psicologico. Non solo. Molto importante è il lavoro dell’endocrinologo Alessandro Oppo che fa parte dell’equipe. Non tutte le persone che si rivolgono a noi arrivano alla fine». C’è chi cambia idea? «In alcuni casi qualcuno ha deciso di interrompere il trattamento mentre per qualcun altro abbiamo riscontrato alcuni problemi di salute». Sono tante le richieste? «Molte di più rispetto alle aspettative. Al momento i pazienti in trattamento sono quindici. Quattro arrivano dall’Oristanese». Quanto è difficile, in Sardegna, fare una scelta come quella di cambiare sesso? «Molto più che altrove. La società purtroppo è ancora retrograda e non educata. In pochi sanno che il problema dell’identità non è una questione sessuale ma di appartenenza di genere». Le difficoltà da affrontare? «La prima è quella dell’accettazione di se stessi». Poi ci sono la famiglia e la società. «Non è un caso che molte persone siano state sbattute fuori di casa e che quasi mai una transgender riesca a trovare lavoro».E per questo si prostituiscono? «Quello della prostituzione è il primo rischio che si corre. Spesso è l’unica possibilità di mantenersi. Chi è che assume una transgender?». Quanta intolleranza c’è in giro per la Sardegna? «Tanta, perché la società non è pronta. Bisognerebbe partire dalle scuole, educare i bambini alle problematiche legate all’appartenenza di genere. Non si può continuare a pensare che si tratti di una questione sessuale». Il vostro progetto ora rischia di fermarsi. «Il finanziamento regionale scadrà a giugno. Speriamo che la Regione non faccia arenare il nostro sportello».
Nicola Pinna
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«Brava, hai il coraggio di essere libera»
Giulia aveva ragione: martedì, mentre raccontava la sua storia a L’Unione Sarda, era quasi sicura che in tanti le avrebbero mostrato stima e affetto. Ed è andata così. Certo, qualche manifestazione di intolleranza c’è stata, ma i messaggi di sostegno sono molti di più. Sulla pagina web del giornale i commenti sono centinaia. Questo lo scrive Almina Madau Carta: «Brava Giulia, il coraggio di essere libera. Grazie anche da parte delle persone che soffrono per essere chiuse in una gabbia e sono costrette a sentirsi anormali». Aggiunge Stefania Putzolu: «La vita non è semplice, ma chi ha voglia di vivere e chi ha sofferto non perderà la speranza di essere libero».Tutti pronti a difendere Giulia: «C’è una sola cosa che non dev’essere fatta – dice Daniela Orrù – Offendere una persona che ha fatto le scelte per la propria vita, senza danneggiare nessuno. Pensiamo a difenderci da chi danneggia il prossimo».
Rassegna stampa: articolo dell’Unione Sarda del 29 Marzo 2012