Gay, una storia di persecuzioni

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Di Massimo Mele il 8 Novembre 2011. Nessun commento

Ripercorrere la storia dell’omofobia attraverso storie più o meno note, dalla pena di morte ai bagni del Parlamento, ma che rendono l’idea della persecuzione omofobica. Una recensione del libro di Paolo Pedote “Storia dell’omofobia”

«Tu sei un uomo, non puoi stare qui! Devi andare nel bagno degli uomini!», cominciò a urlare isterica la deputata Elisabetta Gardini, detta «Madonnina dei dolori» per i programmi con la lacrimuccia che faceva dopo essere stata promossa da soubrette a presentatrice. «All’inizio», avrebbe raccontato Vladimir Luxuria, «pensavo che scherzasse, poi mi sono resa conto che non era così. Che faceva sul serio. E mi ha anche anticipato che si sarebbe rivolta ai questori della Camera».

Era la fine di ottobre del 2006. E quel piccolo, squallido, miserabile episodio spiegava più di mille articolesse e saggi sociologici come perfino dentro il Parlamento, là dove teoricamente dovrebbe sedere l’élite culturale del Paese, resistesse ancora una callosa riottosità a riconoscere alle minoranze sessuali la piena affermazione dei loro diritti.

Certo, la transgender pugliese, che in seguito avrebbe addirittura vinto L’isola dei famosi, non corre più il rischio di fare la fine di Rolandino Bragaglia, che nel 1354 fu processato a Venezia perché, pur avendo «aspetto, voce e gesti da donna», aveva «membro e testicoli al modo degli uomini» ed era accusato di avere adescato molti che «credevano che lui fosse femmina».

E così quella di tanti altri poveretti assassinati sulla base di leggi spaventose, come il Codice teodosiano del 438 d.C.: «Tutti coloro che sono usi condannare il proprio corpo virile, trasformato in femmineo, a subire pratiche sessuali riservate all’altro sesso, e che non hanno nulla di diverso dalle donne, espieranno un crimine di tal fatta fra le fiamme vendicatrici, dinanzi al popolo». Gli statuti medievali italiani di cui scrive Paolo Pedote in questa Storia dell’omofobia, dove la puntualità della ricostruzione documentale e scientifica fa qua e là inorridire di spavento, non sono più in vigore da moltissimo tempo.

È solo un raccapricciante ricordo il Costituto senese del 1262 che prevedeva che il colpevole del «detestabile crimine sodomitico» fosse «impiccato per i genitali». E così gli statuti di Collalto e Treviso, Padova e Salò, Carpi e Viterbo, Ascoli e Cremona e Bologna. E quello di Firenze usato da Carlo II d’Angiò per liberarsi, come racconta un’anonima Cronica fiorentina del 1293, del conte dell’Acerra: «L’accusò d’essere sodomita, e gli fece ficcare un palo nell’ano facendolo uscire dalla bocca, e come un pollo lo fece arrostire».

Memorie di orrore. Ma relegarle in un passato remoto insieme con l’uomo di Neanderthal, l’antropofagia o la prostituzione sacra a Corinto sarebbe un errore consolatorio. Le pene fissate per il reato di sodomia arrivano ancora oggi a 5 anni di lavori forzati a Mauritius, 7 in Botswana, 10 in Giamaica, 14 in Zambia, Nigeria, Kenya e Tanzania, 20 in Malesia. Per non dire dell’ergastolo in Uganda e nel Bangladesh. E della pena di morte negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita, in Iran.

Paolo Pedote

In Italia non accade più? Certo. E se Palmiro Togliatti starebbe oggi più attento nelle sue battutacce su André Gide e Pier Paolo Pasolini, Maurizio Ferrara si guarderebbe bene dallo scrivere di nuovo quella sua definizione di Marco Pannella e dei radicali: «’Na manica de gente assai lasciva / finocchi e vacche ignude alla Godiva».

L’incessante catena di aggressioni contro tutti quelli che a volte appena appena «appaiono» diversi, con omicidi, pestaggi, ferimenti, è però scatenata da squadracce che si sentono in qualche modo «legittimate» da un clima omofobo. Dice un rapporto della primavera 2009 dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali che l’omofobia è sempre più diffusa, e che il Paese più omofobo in assoluto è la Lituania. Al secondo posto, però, storicamente, ci siamo noi.

Il web trabocca di aggressività contro gli omosessuali. «Meglio a destra con le escort che a sinistra con i trans». «Dio odia i gay». Ma è soprattutto l’omofobia della nostra cosiddetta «classe dirigente» a lasciare stupefatti. In ordine sparso, in questi anni, hanno detto di tutto. Piergianni Prosperini, all’epoca assessore regionale della Lombardia, spiega in un’intervista a «il Giornale»: «I gay garrotiamoli, ma non con la garrota spagnola, il collare che stringe lentamente la gola. Ma quella indiana, pare degli Apache: cinghia di cuoio legata intorno alle tempie che asciugandosi al sole si stringe ancora». Francesco Storace la butta in rissa con il verde Mauro Paissan e poi dice ai giornalisti: «Quella checca di Paissan mi ha graffiato con le sue unghie laccate di rosso, io non l’ho toccato: sfido chiunque a trovare le sue impronte sul mio culo».

Per non dire delle ripetute sparate di Umberto Bossi: «Dobbiamo dire grazie a Veltroni che si è messo in prima fila al Gay Pride perché io sono convinto che queste cose alle elezioni esploderanno, e allora questi, i frammassoni, i Cappuccioni e i loro soci di sinistra, saranno morti: il loro mondo è finito. (…) Europa, giù le mani dai bambini! Spurcaciun. (…) Finisce che un giorno ci troviamo le città piene di pistoloni di plastica…». E come dimenticare il comunicato ufficiale, su carta intestata del ministero, emesso da Mirko Tremaglia contro Bruxelles che aveva bocciato Rocco Buttiglione quale commissario europeo per le sue posizioni pesanti sui gay? «Povera Europa, i culattoni sono in maggioranza».

Perciò è indispensabile, questa Storia dell’omofobia scritta da Pedote. Perché aiuta a collocare le cose nel loro contesto. Basti ad esempio l’indecente sparata di Giancarlo Gentilini, il «vero» sindaco di Treviso: «Darò immediatamente disposizione alla mia comandante dei vigili urbani affinché faccia pulizia etnica dei culattoni. I culattoni devono andare in altri capoluoghi di regione che sono disposti ad accoglierli. Qui a Treviso non c’e nessuna possibilità per culattoni o simili».

Perfino lui avrebbe forse qualche scrupolo di coscienza o almeno qualche imbarazzo se andasse a rileggere cosa diceva lo Statutum Tarvisii del 1313 a proposito di quei «culattoni» di cui oggi invoca la pulizia etnica.

Diceva: «Inoltre stabiliamo che se una persona si congiunga con un’altra abbandonando l’uso naturale, vale a dire maschio con maschio (dai quattordici anni in su), e femmina con femmina (dai dodici anni in su), compiendo il vizio sodomitico che viene detto volgarmente buzeron o fregator, e ciò sia stato accertato dal podestà, quella persona trovata in tale situazione, se fosse un maschio, sulla piazza del Carubio, spogliato di ogni indumento, sia appeso sopra un palo in quella piazza, con il suo membro virile trafitto con un ago o un chiodo, e cosi rimanga li tutto il giorno e la notte seguente sotto buona custodia, e poi il giorno seguente sia bruciato fuori dalla città».

Fonte Gian Antonio Stella, corrieredellasera.it

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