Con lo sguardo ammaliante di una dea mitologica, Lea T è riuscita a stregare il mondo della moda e a far focalizzare l’attenzione dei media sull’identità di genere. Ebbene si, perchè la nostra Lea nel 1981 nacque come Leo (Leonardo).
Figlio di una benestante quanto cattolica famiglia brasiliana, Lea vanta tra i suoi geni quelli di un eroe del calcio internazionale. Suo padre, Toninho Cerezo, è persino stato una colonna portante del calcio italiano qualche decennio fa.
Per chi legge sembrerebbe quasi una notiziola da quattro soldi, ma quello che stupisce, o meglio che ha fatto alzare qualche sopracciglio è il fatto che la transessuale sia stata ingaggiata da Riccardo Tisci, Direttore Artistico della maison Givenchy, come musa e protagonista della nuova campagna autunno-inverno 2010, facendo salire alle stelle quei conti aziendali che già splendevano di luce propria dopo l’avvento del medesimo Direttore, per le sue crezioni eccentriche.
Qualche malalingua avrà sicuramente accennato ad una astuta campagna di marketing che non ha alcun rispetto per le tematiche sull’identità di genere, ma i due, Lea e Tisci, sono amici di vecchia data. Infatti è stato proprio Tisci ad incoraggiare l’amica nel suo percorso, contribuendo alla sua autostima, che definisce sempre traballante e in fase depressiva per via degli ormoni. Facendo tesoro delle proprie esperienze attinsero entrambi conoscenza reciprocamente l’uno dall’altra, facendosi strada tra le peripezie che portano a vivere i giornalisti e paparazzi interessati solo all’aspetto “ma se lo ha tagliato o no” della situazione.
Ma, una cosa è certa, bene o male l’importante è che se ne parli. E se ne è parlato e come, Lea è stata per mesi la fovorita di magazines e testate giornalistiche di tutto il mondo, sfruttando la situazione per parlare del percorso insidioso che spesso circonda la ricerca della propria identità su tutti i livelli e non solo quello meramente sessuale. E’ stata ritratta in innumerevoli editoriali e photoshooting che enfatizzano i suoi straordinari lineamenti androgini che forse per una volta fanno parlare di transessualità, arte e moda al posto di affincarla a stereotipi di criminalità e prostituzione.