Don Gallo: “Quello di Rigon è un segnale preciso, così si torna indietro!”

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Di Massimo Mele il 23 Febbraio 2011. Nessun commento

Monsignor Rigon: “Stupito dalle polemiche”

GENOVA. «Evidentemente è vero quello che mi dicono amici carissimi molto addentro alle cose della Chiesa: dopo tutte le polemiche sulla pedofilia sta per arrivare un documento pontificio sul sesso e sarà l´ennesima, brutta involuzione. Conosco monsignor Rigon da decenni ed è una persona, solitamente, seria. Se ha detto quelle parole sotto lo sguardo attento di cardinal Bagnasco… ».
Solitamente basta un niente, per accendere don Gallo: figuriamoci il vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico della Liguria che parla di trattamenti psichiatrici per guarire l´omosessualità. Il don, certo, è indignato: è arrivato alle cinque del mattino, reduce da un dibattito nell´hinterland torinese, e anche lì ha parlato «della mia Chiesa che accoglie e non respinge e dell´Organizzazione mondiale della Sanità che, da tempo, ha chiarito che l´omosessualità non è una patologia».
Evidentemente, don Gallo, la sua Chiesa e quella di Monsignor Rigon non sono la stessa. «Attenzione a non prendere cantonate: chiunque conosca monsignor Paolo sa che si tratta di una persona cauta, attenta, intelligente. Se dice quelle parole – e io, sia chiaro, non ne condivido una – e le dice davanti al presidente della Cei, è un segnale preciso».
Da San Benedetto, allora, spostiamoci in via Polleri, tra il Carmine e la Zecca, dove ogni mattina monsignor Paolo Rigon recita messa alle Suore Filippine (il paese di Marcos non c´entra niente, prendono il nome da San Filippo Neri). Sulla porta, un cartello di plastica verde, con scritta gialla: «In questa chiesa ogni giorno feriale alle ore 6,45 recita di lodi, liturgia eucaristica, commento della parola di Dio». Rigon, è noto, è stato un “siriano ortodosso”: ma a differenza di molti altri “ragazzi di Siri” non ha fatto carriere spettacolari. Sulla porta, una suora gentilissima e inflessibile: «Quel che aveva da dire il Monsignore l´ha già detto. Semmai è stupito dalle polemiche». In fondo – è la tesi della difesa – solo otto righe in venti pagine, un inciso intitolato “Pornografia e omosessualità”. E in queste otto righe, fa sapere Monsignor Rigon, «non c´è scritto proprio niente di nuovo: la pornografia dilagante porta ad una visione distorta del sacramento matrimoniale. E l´omosessualità, che qualcuno spera di vincere o di mascherare con un matrimonio di comodo, non permette di restare fedeli: si tratta di un problema della personalità». E poi l´affondo: «L´omosessualità è indotta: quasi mai si nasce così, salvo rarissimi casi di gravi disturbi ormonali e la si può superare con la psicoterapia. Ma bisogna prenderla in tempo: deve essere affrontata nella prima adolescenza, ne sanno qualcosa i nostri consultori». Anche ieri mattina, alle 7,30, Monsignor Rigon – come tutte le mattine, prima di andare al Tribunale Ecclesiastico dove si ferma fino a mezzogiorno – ha recitato messa in via Polleri: ma alle polemiche di sabato, al Quadrivium, non ha fatto cenno,
Come se ne esce? Don Gallo ha un´idea: «Invitiamo ufficialmente monsignor Rigon, giovedì pomeriggio, all´inaugurazione della Casa del quartiere, in vico Croce Bianca. Per dialogare ed ascoltare perché, com´è scritto, “prima di giudicare, accoglili”. Lo conosco e lo stimo da tanto, sono certo che vorrà parlare con tanti ragazzi e ragazze omosessuali che gli spiegheranno come l´omosessualità non sia una malattia da curare. Da dieci anni, ad Innsbruck, è all´opera una commissione diocesiana – guidata dal vescovo locale – che dialoga con gay, lesbiche, transgender. Perché a Genova no?».

Da Repubblica – articolo di Donatella Alfonso

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L´associazione che raccoglie i familiari degli omosessuali: gli interventi “riparatori” fanno solo danni

Le famiglie: “Confrontatevi con noi”

“Parole come quelle ascoltate sabato scorso schiaffeggiano anche i credenti”

DONATELLA ALFONSO

«GLI omosessuali credenti sono tanti. I loro familiari anche. Parole come quelle di monsignor Rigon li schiaffeggiano, letteralmente» sospira Pasquale De Santis, terziario domenicano a Santa Maria di Castello, fratello di Rita De Santis, presidente nazionale dell´Agedo, l´associazione dei genitori omosessuali che ora raccoglie anche familiari, parenti e amici. Spesso frustrati, quando sono credenti, dall´impossibilità di condividere gli affetti personali e familiari con i punti di vista delle gerarchie ecclesiastiche. «Io sono laica, e mi offende meno la Chiesa che uno stato che invece dovrebbe tutelare tutti i cittadini e, in tema di diritti civili non lo fa – dice Rita De Santis – però io chiedo a monsignor Rigon e agli esponenti della Chiesa di volersi confrontare con noi. perché sabato ci sono stati un giudizio morale e delle informazioni completamente errate. Perché insistere sull´omosessualità come esclusivo atto sessuale? Perché non si vuole accettare, invece, il concetto di omoaffettività, di un legame affettivo tra due persone sicuramente più forte di quello costituito dal sesso, che può essere anche conseguenza di condizioni particolari, di una serata fuori dall´ordinario?».
Ma soprattutto, insiste Rita De Santis, che vive a Brescia e ieri era a Genova insieme a Valerio Barbini, presidente di Arcigay Genova (oltre che coordinatore provinciale di SeL) c´è bisogno di un confronto, vero e importante, con la Chiesa. «Ma ci stiamo anche chiedendo, sconcertati, se davvero esistano consultori nei quali si lavora per cercare di imprimere delle scelte ai giovani gay; e se si tratta di strutture convenzionate con la Regione sarà il caso di vederci chiaro, così come partiranno nelle prossime ore gli esposti agli ordini dei medici e degli psicologi» spiega Barbini, mentre in consiglio regionale si annuncia un´interpellanza in proposito, firmata da Matteo Rossi di Sinistra e Libertà.
«C´è il dubbio su quale attività si svolga in questi consultori, e c´è il fatto, terribile, per cui monsignor Rigon ha sottolineato che bisogna intervenire prima che i segnali di omosessualità si incancreniscano – riprende Rita De Santis – ma come si può dire questo? E´ gravissimo considerare l´omoaffettività una sorta di metastasi nei ragazzi. Ed è l´occasione su cui intervengono certi “riparatori” che fanno danni, veri, esercitano una vera violenza. Mio figlio ha ormai 45 anni, fa la sua vita, ma se io ritengo importante impegnarmi ancora è perché la posizione della Chiesa non fa che aggravare gli atteggiamenti di rifiuto che già avvengono in molte famiglie: io vivo a Brescia, non avete idea, nelle province, che cosa accade in tante famiglie quando i figli annunciano la loro omosessualità: tanti vengono sbattuti fuori».

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