Il mondo dello spettacolo, in un modo o nell’altro, si è sempre espresso sulle questioni politiche. Anche le istanze portate sul palco del concertone del primo maggio non sono una novità di quest’anno. In questi giorni, sempre sulla scia dell’hashtag #diamociunamano, c’è grande fermento e alcuni volti noti della cultura pop italiana hanno espresso pareri su una serie di questioni a noi care. Da una parte abbiamo un cantante, un artista che si assume la responsabilità di ciò che dice. Le sue parole non sono una novità, questioni sotto gli occhi di chiunque, che ha deciso di portare in televisione nonostante la richiesta da parte della RAI di rivedere il suo discorso perché ritenuto inopportuno e scomodo data anche la presenza di nomi e cognomi. Un episodio che deve darci già da pensare: quante altre volte un discorso è stato di fatto revisionato per poter andare in onda?
Dall’altra abbiamo due comici che provano a sfruttare la battuta, con poca maestria, per veicolare un messaggio (oppure semplicemente la loro opinione?). Si scagliano contro il politicamente corretto per mascherare la loro incapacità di far ridere. Un monologo che inizia in maniera diretta e quasi efficace dove si tenta di mostrare le falle del politicamente corretto, di scardinare l’idea che basti utilizzare la parola nero senza l’aggiunta della “g” per poter dire poi le cose peggiori; un monologo però che è evidentemente gestito da qualcuno che non sa di cosa sta parlando e che va alla deriva.
Dire che le parole non sono importanti ma che il problema è solo l’intenzione è un giudizio superficiale. Se uno per strada mi grida lesbica o frocio, io non rido. Io fuggo. Perché è sicuramente l’inizio di un comportamento molesto. Cosa potrebbe succedermi se dovessi fermarmi e ridere? Con quale sfrontatezza rido in faccia a una persona sconosciuta che potrebbe persino picchiarmi perché a dargli fastidio è il mio orientamento sessuale? Dire che il Pride non serve perché lui (Amedeo) in quanto etero non va a gridare per strada che gli piace la figa è incredibilmente ignorante perché denota una mancata comprensione di cosa sia davvero il Pride. Dire alle persone che subiscono quotidianamente vessazioni come dovrebbero reagire in caso di insulti è inaccettabile.
I due comici parlano di censura, ma poter andare in televisione in quanto maschi bianchi etero cisgender a sentenziare su cosa sia corretto o meno dire riguardo minoranze di cui non fanno parte per far ridere è un privilegio che non si rendono conto di possedere. Fedez, al contrario, sfrutta il suo privilegio per denunciare situazioni, spostare masse in direzioni la cui importanza è evidente agli occhi delle persone. Quando viene detto qualcosa che prende di mira una minoranza e la gente il giorno seguente si scandalizza, non è né censura né una forzatura politicamente corretta.
Certo, non è tutto oro quello che luccica, si potrebbe pensare che un personaggio così influente come Fedez possa aver costruito ad arte una polemica; potremmo anche malignare sul fatto che essendo amico dei due comici (Pio e Amedeo) e non avendo ancora dato un parere sul loro monologo, la sua crociata in favore delle minoranze sia forse solo una delle tante facciate di un personaggio pubblico. Resta il fatto che è stato l’unico a pronunciare quelle parole, anzi, a gridarle.
Non possiamo però pretendere che un cantante assolva alle mancanze dei nostri politici. Di certo fa da contraltare ai vari Povia, Platinette (che nel corso di una recente intervista dichiara che ora i veri discriminati sono gli etero) e Beppe Grillo (che sfrutta il suo privilegio di vip per fare un discorso maschilista e misogino) che in questi giorni hanno dato voce alla loro ignoranza.
Personaggi più o meno famosi ma comunque con un certo seguito, ci stanno dando quotidianamente prova di cosa significhi non conoscere davvero il testo del DDL Zan. Come associazione e come movimento LGBT+, ci battiamo da anni affinché ci sia una legge per cui leader politici ed esponenti religiosi possano essere condannati se utilizzano un linguaggio scorretto e che istighi all’odio. Un aspetto stralciato dal disegno di legge dove invece rimane solo l’istigazione al crimine. Da anni teniamo corsi di formazione nelle scuole, nelle università e con i giornalisti, per promuovere l’utilizzo di un linguaggio corretto, inclusivo e rispettoso.
Tutto passa dalle parole.
È come se il mondo fosse diviso a metà: da una parte ci sono le persone in linea con i quotidiani avanzamenti della società, dall’altra ci sono coloro che continuano a rivendicare il loro diritto a deridere una minoranza al fine di perpetrare il loro status di privilegiati. Il fatto che ci stiamo sentendo sempre più scomod* non significa che non si può più dire niente, significa soltanto che le persone che fino a ieri sono state in silenzio a subire un’oppressione sistematica e sistemica, hanno trovato oggi il coraggio di sollevare la testa. Come dice Michele Bravi, sempre sul palco del primo maggio, “le parole sono importanti tanto quanto l’intenzione, le parole scrivono la storia”: dobbiamo cominciare ad assumerci la responsabilità di ciò che diciamo.