“Proponiamo, insieme a tutte le organizzazioni scientifiche del mondo e in base alle moltissime ricerche ripetutamente convalidate, che l’affettività omosessuale non sia né una malattia né un sintomo e dunque non possa e non debba essere curata né cambiata. Certamente, in una società in cui l’omosessualità è talvolta ancora guardata come se fosse un disturbo, le persone omosessuali vanno aiutate a valorizzare a pieno la propria identità e la propria differenza, e questo è un compito che i professionisti devono porsi”. presentano così, il loro libro “Curare i gay?” lo psichiatra Paolo Rigliano e gli psicologi Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari
Il libro analizza e demolizza una tendenza felicemente ignorata in Italia, ma presente negli Stati Uniti, dove hanno una certa fortuna le cosiddette “terapie riparative” il cui scopo è quello di riportare i pazienti gay a una presunta eterosessualità originaria. L’avvertimento è esplicito: attenzione, i fenomeni culturali che in America acquistano senso e visibilità non hanno mai tardato ad attecchire anche da noi.
Ecco allora la descrizione di un filone psicologico che in Usa ha messo radici nelle retrovie dello schieramento repubblicano, trovando alimento nella cultura settaria del fondamentalismo religioso, al pari del creazionismo. L’idea di base dei cosiddetti psicoterapeuti riparativi è semplice: la natura divide l’umanità in maschi e femmine destinati ad accoppiarsi tra loro, tutto il resto è devianza che, con apposite cure, può essere riportata alla normalità originaria. Poco importa che l’omosessualità non sia più classificata come disturbo mentale fin dal 1973 e che i Paesi anglosassoni siano all’avanguardia nel riconoscimento dei diritti civili dei gay. I “riparatori” usano tutti i canali possibili per insinuarsi, se non nel dibattito scientifico, almeno nella opinione pubblica americana più disarmata.
Ecco l’intervista agli autori realizzata da Affaritaliani.it
Come mai un libro dal titolo Curare i gay?
“Curare i gay?”, con il punto interrogativo, è una domanda che abbiamo assunto come sfida e che poniamo a tutti i lettori, contro la visione fuorviante di interpretare l’orientamento sessuale come un sintomo di disagio. E’ questa una falsificazione strisciante e marginale, che purtroppo ancora sopravvive negli ambienti scientifici più arretrati e in certi movimenti religiosi reazionari. Come messo in evidenza dal sottotitolo “Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità”, quello che questo libro vuole ribadire è che non solo l’omosessualità non è una malattia, ma come ogni orientamento sessuale è un aspetto centrale del Sé, che deve essere valorizzato perché si possa vivere pienamente e serenamente la propria sessualità.
Come mai c’è ancora chi considera l’omosessualità una malattia?
Da una parte, c’è una sparuta minoranza di terapeuti ideologicamente asserviti alle fedi fondamentaliste e integraliste, che quindi seguono vecchi dogmi religiosi, tra l’altro del tutto contrari al messaggio evangelico dell’accoglienza delle differenze e della valorizzazione delle diverse forme di amore e di vita. Dall’altra, ci sono alcuni psicoterapeuti, di solito psicoanalisti vecchio stampo, rimasti legati a sorpassate teorie piene di pregiudizi, sconfessate dalla ricerca scientifica. Noi proponiamo invece, insieme a tutte le organizzazioni scientifiche del mondo e in base alle moltissime ricerche ripetutamente convalidate, che l’affettività omosessuale non sia né una malattia né un sintomo e dunque non possa e non debba essere “curata” né “cambiata”. Certamente, in una società in cui l’omosessualità è talvolta ancora guardata come se fosse un disturbo, le persone omosessuali vanno aiutate a valorizzare a pieno la propria identità e la propria differenza, e questo è un compito che i professionisti devono porsi.
Come cercano i fautori delle terapie riparative di “riorientare” l’omosessualità?
Il libro spiega come i fautori delle terapie riparative tentino di “riorientare” la sessualità e come inesorabilmente falliscano: non è mai stata provata alcuna efficacia di questi pericolosi trattamenti, mentre sono numerose le testimonianze di danno subito. I risultati millantati da alcuni sedicenti terapeuti corrispondono in realtà ad una maschera che i pazienti apprendono a mostrare a sé e agli altri, ma non ad un cambiamento dei desideri della persona. Questo, col tempo, può diventare logorante per la persona.
Come gestite il rapporto con l’etica?
L’etica è un aspetto centrale della nostra riflessione: chi propone questo tipo di trattamenti viola le norme dell’etica in molti modi. I fautori più convinti delle terapie riparative si propongono come “agenti di cura” ignorando però i dettami scientifici di base nel definire che cosa costituisca o meno malattia, e confondendo i propri tabù sessuofobici e omofobici con il disagio mentale. Già questo tipo di mistificazione è eticamente molto grave. Ma anche chi si presti a trattamenti volti al cambiamento dell’orientamento sessuale senza considerare l’omosessualità una malattia (e ce ne sono) si mette nella posizione di chi cerca deliberatamente di amputare un arto sano, provocando dolore inutile, ma essendo anche destinato a fallire nel suo intento.
E con la libertà?
La libertà è un tema fondamentale e complesso. La libertà significa piena possibilità di essere se stessi, di seguire il sogno della propria felicità e realizzazione affettiva ed esistenziale. Chi cerca i trattamenti riparativi, chiedendo di cambiare orientamento sessuale, chiede di essere aiutato a reprimere i propri desideri perché ha interiorizzato l’idea che essi sono sbagliati. E lo fa nella falsa speranza di cambiare la propria parte più intima e genuina, quella che definisce il suo desiderio d’amore. Questo, ci dice la ricerca scientifica, non è possibile. Assecondare una simile richiesta significa dunque condannare l’individuo ad una privazione costante, all’autosorveglianza e all’automortificazione: significa condannare la persona a opprimere se stessi, sottoponendosi ad un vero e proprio lavaggio del cervello. Diventa dunque molto difficile considerarlo un modo di rispettare la sua libertà.
A chi consigliate in particolare la lettura di questo libro?
A tutti coloro che si trovano o potrebbero trovarsi ad avere a che fare con l’ideologia riparativa dell’omosessualità, perché offre strumenti scientifici forti per capirne la fallacia. Le persone omosessuali, le loro famiglie, le figure educative nel senso più ampio del termine, i consulenti religiosi sono i lettori primari di questo libro, che aiuta anche tutti coloro che sono interessati a capire le strutture di desiderio, le dinamiche dei legami affettivi ed erotici, oltre i pregiudizi e i luoghi comuni. Questo, inoltre, è anche un libro clinico. Si rivolge dunque agli psicoterapeuti, per offrire loro gli strumenti per una riflessione chiara sulle dimensioni complesse dell’identità sessuale: quelle più fluide e sempre in cambiamento, e quelle invece nucleari che definiscono il Sé dell’individuo.
Ci sono tanti omosessuali che vorrebbero non esserlo e chiedono aiuto alla psicologia?
La maggior parte delle persone omosessuali, nelle società occidentali di oggi, vive positivamente la propria omosessualità. Rimane tuttavia una fascia di popolazione, soprattutto tra gli adolescenti e/o i credenti, particolarmente vulnerabile ed esposta all’oppressione sociale, all’invisibilità e alla squalifica che ancora caratterizzano la società italiana.
La società è pronta per affermare una totale libertà sessuale o i condizionamenti della Chiesa e dell’impostazione tradizionale sono troppo presenti ancora?
La questione è che nella società ci sono già milioni di persone omosessuali che vivono il proprio desiderio, formano coppie, famiglie, contribuiscono all’evoluzione della comunità. I dogmi del fondamentalismo religioso non possono arrestare questo processo, ma possono sicuramente influenzare le possibilità di accettazione positiva del proprio desiderio e la promozione della convivenza delle diversità.
Fonte espresso.it e affritaliani.it