Il post pubblica un articolo sull’edizione tascabile di “Contro Ratzinger“, un libro della casa editrice ISBN. Si tratta di un testo di analisi e polemica su papa Benedetto XVI. Fu scritto da un autore mantenuto anonimo e quando uscì nel 2006 divenne uno dei maggiori successi di ISBN.
Di seguito una parte del capitolo ancora attuale dedicato al rapporto con l’omosessualità del papato di Ratzinger.
I Village People sarebbero stati un gruppo straordinario se accanto al cowboy e all’indiano, al poliziotto e al carpentiere, avessero avuto il coraggio di aggiungere il prete cattolico, uno dei personaggi irrinunciabili della parata iconografica del Novecento gay. Nonostante l’indiscutibile diritto a prendere parte a questa immaginaria Gay parade, la Chiesa continua a esprimere nei confronti dell’omosessualità un accanito rifiuto. A dare una prima risposta è un vecchio vescovo gay, comprensibilmente non desideroso di turbare i suoi ultimi anni romani mettendo il proprio nome accanto alla seguente dichiarazione: «Il motivo della fermezza del Vaticano è assai semplice» ci ha spiegato «perderebbe l’esclusiva». Niente di male, ovviamente. Anzi, è probabile che per molto tempo la Santa Romana Chiesa abbia svolto un meritorio ruolo di ammortizzatore sociale, riportando nel grembo della rispettabilità schiere di esseri umani che altrimenti avrebbero dovuto vivere ai margini e nell’ombra.
Certo, però, che è bislacco che tante certezze in materia di sessualità provengano da anziani signori dai gusti sovente indefiniti, immancabilmente avvolti in gonne lunghe, tenuti per voto a non conoscere la donna, a non praticare, procreare e amare. L’argomento è elementare, però è difficile esimersi dal notare la discrepanza tra la durezza rivolta all’esterno e la tolleranza mostrata all’interno. La ferma condanna del Vaticano all’amore tra uguali discende, come si sa, da un episodio della Genesi (19, vv. 1-25), ovvero dall’ira divina scatenata sulla città di Sodoma dopo lo stupro perpetrato dagli abitanti sui due angeli del Signore ospitati da Lot. La prima stranezza agli occhi del profano si deve a una vaga reminiscenza di feroci dispute intorno al sesso degli angeli.
Se quello stupro fu di natura omosessuale, è evidente che la Chiesa ha risolto il dilemma: gli alati e boccoluti messaggeri del Signore devono essere ritenuti, certissimamente, creature di sesso maschile. In realtà, la maggior parte dei biblisti moderni concorda nel ritenere che l’ira del Signore su Sodoma non fu determinata tanto dal carattere «contro natura» dell’atto (che Lot cercò di impedire offrendo alla folla infoiata le figlie vergini), ma dallo scandalo rappresentato dalla violazione del comandamento di dare ospitalità allo straniero. Un altro brano che va per la maggiore si trova nel Levitico, ove si legge: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso abominio».
Il fatto che la condanna cada nel contesto della cosiddetta «legge di santità», che consiste in una serie di disposizioni dettagliate atte a conservare la purezza necessaria al culto (e che prescrive peraltro il divieto di congiungersi con una donna mestruata), rende il giudizio delle Scritture sull’omosessualità molto meno certo. L’opinione della maggior parte dei biblisti moderni è che il passaggio da questi versetti dell’Antico Testamento alla condanna del Vaticano si debba a Paolo di Tarso (che contende ad Agostino il primo posto nell’hit parade dei citati da Ratzinger) e alla sua, per alcuni autorevoli commentatori sospetta, omofobia. Nella seconda Lettera ai Corinzi, Paolo parla di una «spada» che gli è stata «conficcata nella carne».
Nella Lettera ai Romani, il folgorato sulla via di Damasco si lamenta: «Il bene che voglio non lo faccio, ma il male che voglio lo pratico. Disgraziato uomo che sono, chi mi libererà da questo peso di morte?». Pur basandosi su un’esegesi discutibile (nei Vangeli non si accenna al problema), la Chiesa accosta ancora oggi, come nell’episodio di Lot, l’amore tra persone dello stesso sesso allo stupro. L’equivalenza, almeno implicita nella formulazione sintattica, appare perfino nel Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, curato personalmente dal cardinale Ratzinger su incarico di Giovanni Paolo II. Nel nuovo Catechismo il tema dell’omosessualità compare nella parte intitolata La vita in Cristo, quando si tratta di spiegare, uno per uno, il significato dei dieci comandamenti.
Giunti al sesto («Non commettere atti impuri»), il lemma 492 chiede conto dei «principali peccati contro la castità». Ecco la risposta: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l’adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale». Stupisce, in primo luogo, l’intenzionale equiparazione morale di atti molto diversi tra loro (e nel giudizio contemporaneo imparagonabili): la scelta di formulare la risposta sotto forma di elenco pone tutto allo stesso livello di gravità (seguendo la logica del Catechismo, un ragazzino che si masturba è colpevole tanto quanto uno stupratore). In secondo luogo, la volontà di chi «subisce» l’azione lussuriosa di un altro non è tenuta in alcun conto ai fini del giudizio morale. È per questa volontaria ignoranza della violenza, per questo testardo affermare la bontà o la cattiveria dell’azione in sé, prescindendo dalle circostanze e dalle volontà dei coinvolti, che omosessualità e stupro vengono proposti in sequenza (evidentemente dopo ponderata riflessione).
A rendere ancora più problematica la risposta offerta dal nuovo Catechismo c’è, infine, l’accenno all’aggravante rappresentata dal coinvolgimento di minori. Un atto dovuto che, però, non mette al riparo il Vaticano, e l’attuale pontefice in particolare, dal dovere di fornire alcune risposte. E che costringe questo libro a una digressione sul tema. Fino a oggi, gli innumerevoli episodi di pedofilia che hanno coinvolto la Chiesa cattolica a tutti i livelli sembrano essere stati gestiti dai suoi vertici come uno scandalo da nascondere, proteggendo i colpevoli, e come un problema legale ed economico (negli Usa le richieste di risarcimento rischiano di essere un danno reale per le pur floride finanze vaticane). La Chiesa non ha finora offerto alcuna riflessione pubblica sulle ragioni del fenomeno.
Piacerebbe, per esempio, ascoltare l’opinione della Chiesa, di solito così sollecita a pronunciarsi su ogni questione, sul possibile legame tra l’obbligo della castità, la glorificazione della purezza e la tendenza ad abusare dei bambini. In attesa di chiarirsi (e chiarirci) le idee, Joseph Ratzinger non è rimasto senza far nulla. Il 18 maggio 2001, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e il suo vice Tarcisio Bertone hanno inviato a tutte le diocesi una lettera riservata (sul sito del Vaticano è tra i rarissimi documenti redatti soltanto in latino) che prescrive alle gerarchie ecclesiastiche come comportarsi di fronte ai delitti più gravi commessi dai propri membri «contro la morale e la celebrazione dei sacramenti». L’Epistula, inviata ad totius Catholicae Ecclesiae Episcopos aliosque Ordinarios et Hierarcas interesse habentes e marchiata «reservatis», rappresenta un’attualizzazione dell’istruzione Crimen sollicitationis firmata nel 1962 dal prefetto Alfredo Ottaviani, che ordinava a tutte le persone coinvolte in questo tipo di processi il silenzio perpetuo, pena la sospensione a divinis.
Alla categoria grave «delitto contro la morale», la lettera di Ratzinger cita «il delitto commesso da un sacerdote contro il Sesto comandamento del Decalogo con un minore più giovane di diciotto anni d’età» (la traduzione è nostra). Coerentemente con la definizione del nuovo Catechismo, la pedofilia costituisce un’aggravante del peccato di lussuria. Il trattamento di questi delitti, scrivono Ratzinger e Bertone, «sono riservati al tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede». Quando un superiore ha «conoscenza almeno probabile di un delitto riservato, dopo aver condotto l’indagine preliminare deve darne indicazione alla Congregazione per la dottrina della fede che, se non avoca il caso a sé per circostanze speciali, dopo avere trasmesso le norme appropriate, ordina al vescovo o ai Superiori maggiori di procedere attraverso il proprio tribunale».
Più avanti Ratzinger specifica come tali tribunali devono essere composti: «Nei tribunali costituiti dai vescovi o dai Superiori maggiori, le funzioni di giudice, promotore di giustizia, notaio e difensore possono essere svolte validamente in questi casi soltanto da sacerdoti».
E ancora: «Casi di questo tipo sono soggetti al segreto pontificio». I reati di pedofilia in cui sono coinvolti ecclesiastici devono, insomma, rimanere segreti ed essere giudicati rigorosamente solo all’interno.
L’ex Sant’Uffizio si riserva, inoltre, di avocarli a sé. Come ha spiegato Tarcisio Bertone, il viceprefetto, in un’intervista all’Observer del 2003: «A mia opinione, la richiesta che un vescovo sia obbligato a contattare la polizia per denunciare un prete che ha ammesso atti di pedofilia non è fondata». È, però, nel prosieguo che le disposizioni di Joseph Ratzinger diventano più imbarazzanti. «Deve essere notato che l’azione legale contro i delitti su cui ha competenza la Congregazione per la dottrina della fede si estingue dopo dieci anni con la prescrizione» scrive l’attuale pontefice, citando in nota due norme del Codice di diritto canonico. Le due righe dopo, che non sono avallate da note a piè pagina, si devono evidentemente a una sua iniziativa: «Tuttavia, nel delitto perpetrato da un sacerdote con un minore, il periodo di prescrizione inizia a essere calcolato a partire dal giorno in cui il minore ha compiuto diciotto anni» (in latino: «In delicto autem cum minore a clerico patrato praescriptio decurrere incipit a die quo minor duodevicesimum aetatis annum explevit»).
Detto papale papale: il reato «morale» della pedofilia cade in prescrizione quando l’abusato compie ventotto anni. L’estensione dei termini di prescrivibilità di un reato comporta, normalmente, uno svantaggio per l’accusato. In questo caso, non è così: perché insieme ai termini di prescrizione si estende anche la giurisdizione e il controllo della Chiesa sui casi di abusi su minori commessi dai propri membri. Terminato il processo, «tutti gli atti del procedimento devono essere trasmessi il più presto possibile alla Congregazione per la dottrina della fede». Per i contenuti di questa lettera riservata, il prefetto è stato denunciato per «intralcio alla giustizia» dall’avvocato Daniel Shea di Houston, Texas. Si tratta di un reato che negli Usa è punito con pene fino a cinque anni di carcere. L’avvocato Shea rappresenta uno dei tre ragazzi che hanno denunciato per violenze sessuali compiute negli anni novanta il sacerdote colombiano Juan Carlos Patino-Arango, allora assegnato alla chiesa di San Francesco di Sales di Houston. Ratzinger avrebbe dovuto difendersi dall’accusa di avere collaborato con l’arcidiocesi di Gavelston- Houston nel tentativo di ostacolare la giustizia, ma poi è diventato Benedetto XVI.
Il 20 maggio 2005, l’ambasciata della Santa Sede di Washington ha trasmesso un memo al Dipartimento di Stato americano con la richiesta di garantire al pontefice l’immunità in quanto capo di uno Stato
estero. In un’altra occasione (che riguardava un processo per pedofilia a Louisville, Kentucky) è stato direttamente il segretario di Stato pontificio, cardinal Angelo Sodano, ad avanzare la richiesta di immunità al suo omologo americano, Condoleeza Rice. Nel dicembre 2005, conformandosi anche al parere espresso da una nota inviata dal Dipartimento di Stato Usa a maggio, la richiesta è stata accolta dal giudice distrettuale di Houston, Lee Rosenthal. Il silenzio sulla vicenda della quasi totalità dei mezzi di informazione italiani, solitamente tanto prodighi nel concedere spazio a Sua Santità, appare come un necessario pendant al silenzio del Vaticano in materia di abuso sui minori.