Sassari. “Alla fine penso che noi siamo fortunati. Anche se abbiamo passato un periodo sconvolgente abbiamo la consapevolezza di conoscere veramente i nostri figli. Pensate a tutti quei genitori che moriranno senza sapere chi era veramente il loro figlio o la loro figlia”. Questa frase, pronunciata da uno dei genitori che si raccontano nel film, racchiude tutta la tragedia del rapporto fra genitori e figli gay e lesbiche. Molta emozione e alcune lacrime hanno accompagnato tutta la prima parte del film in cui diverse coppie di genitori raccontavano il momento della scoperta, quando “il mondo gli è crollato addosso”. da chi ha cercato di rinchiudere il figlio in casa a chi ha provato ad obbligare la figlia ad andare dallo psicologo. Storie di ordinaria omofobia genitoriale che, fortunatamente, hanno avuto un epilogo positivo. Il percorso di accettazione dell’omosessualità li ha condotti in una nuova dimensione del rispetto e, sopratutto, della relazione con i figli. “Elaborato il lutto”, il rapporto è migliorato notevolmente ed è come una nuova rinascita. Da qui il titolo 2 volte genitori: il superamento dell’omofobia li ha resi dei genitori nuovi, che antepongono il benessere dei figli ai desideri e alle speranze che avevano covato su di loro. Un figlio non è la realizzazione dei propri sogni mancata ma una persona libera e indipendente da mare e sostenere nella crescita e nella ricerca della propria identità. E la felicità non deriva dall’averlo modellato a proprio piacimento ma dall’aver partecipato a renderla una persona felice e realizzata. La genitorialità non si impara a scuola, nè in chiesa ma nell’esperienza della relazione familiare.
Nel film è racchiuso l’intero percorso interiore di intere famiglie, dal rifiuto iniziale fino alla completa accettazione del o della figlia per quello che è, fino all’esplicito sostegno ai suoi
bisogni e ai suoi diritti, ancora calpestati e umiliati. La conclusione è infatti sul carro dell’Agedo al pride, la manifestazione per l’orgoglio Gay, Lesbico e Trans.
Dopo la proiezione è il momento degli interventi. Claudio Cipelletti, regista del film, spiega tutta la fase di elaborazione, durata circa due anni, in cui sono stati sentiti e selezionati diversi genitori da tutta Italia. Genitori che si raccontano non in un’intervista, ma, seduti in cerchio, ripercorrono le loro esperienze di vita e le mettono a confronto, aiutati da una psicologa che controlla i tempi del racconto seguendo uno schema diviso in 6 fasi, dalla scoperta dell’omosessualità, con tutta la drammaticità con cui molti l’affrontano, alla liberazione finale con la riscoperta di sè e dell’amore familiare.
Maria Paola Curreli, madre e dirigente scolastico interviene sul rapporto con la scuola e sulla necessita che programmi e libri di testo vengano svecchiati e ripuliti dell’omofobia e del sessismo, così come dovrebbero fare gli insegnanti, spesso causa prima delle discriminazioni a carattere omofobico per semplice ignoranza o stupidità. “Ci dovrebbero essere corsi di formazione per preparare gli insegnanti, sopratutto quelli delle medie e delle superiori, ad affrontare l’argomento. Non solo per gli insegnanti dichiaratamente omofobi, ma anche per quelli che pur non avendo problemi rispetto all’omosessualità non hanno gli strumenti per affrontarla come tematica o per intervenire qualora assistano ad episodi di discriminazione”.
Massimo Mele del Movimento Omosessuale Sardo ritiene “che tutti i genitori, gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con bambini e adolescenti, a prescindere dal fatto che siano o no omosessuali, devono porsi il problema ed aquisire tutte le informazioni necessarie al superamento dei pregiudizi e degli stereotipi di una cultura etero sessista per riuscire a trasmettere valori positivi come il rispetto della diversità e l’accettazione dell’altro. Condizione essenziale per combattere questa deriva razzista ed omofoba che investe tutto il mondo occidentale anche a causa di questo nuovo fondamentalismo violento e repressivo che attraversa tutte le religioni monoteiste”.
Rita Mocci, presente anche nel film e simpatizzante dell’Agedo, sostiene di “non aver mai avuto problemi rispetto all’omosessualità del figlio che non ha nemmeno avuto bisogno di dire la fatidica frase “Sono gay” perchè questo era già chiaro a me come a mia figlia. Abbiamo sempre parlato tranquillamente dei suoi fidanzati e di quello che gli accadeva. Piuttosto, la sua omosessualità è servita a me per risolvere, finalmente, il rapporto con mia madre”.
Alla fine tutti concordano sull’esigenza dell’impegno da parte di tutti per combattere l’ignoranza e la discriminazione e, all’appello ai genitori di Rita e agli insegnanti di Maria Paola, si aggiunge quello di Massimo a gay e lesbiche: dirlo in famiglia è necessario perchè sono parte della società che vorremmo cambiare. Se non riusciamo a farlo con quelli che ci vogliono bene e ci sono più vicini, come possiamo pensare di far cambiare la mentalità di chi non ci conosce per niente?