MILANO – Mancano pochi giorni pochi giorni alla VI conferenza della International Aids Society in programma a Roma dal 17 al 20 luglio. Medici senza frontiere, la onlus che fornisce assistenza medica di emergenza a milioni di persone che vivono situazioni di crisi in oltre 60 Paesi del mondo presenta il suo dossier sulla situazione di quanti ancora vivono con l’Hiv: secondo le stime sono circa 34 milioni, di cui 22 in Africa.
IL “DISIMPEGNO” INTERNAZIONALE – I Paesi donatori stringono la cinghia e riducono drasticamente il loro sostegno alla causa della lotta all’Aids, denunciano i Medici senza frontiere. «Sarà la crisi economica, sarà che ci sentiamo confortati dalla falsa impressione che le cose stiano andando meglio, sta di fatto che i finanziamenti promessi al Fondo Globale per la lotta all’Aids, tubercolosi e malaria, son ben lontani dall’essere sufficienti: sui 20 milioni di dollari stimati essere necessari nei prossimi 3 anni, ne sono stati promessi meno di 12». E molti dei paesi che del Fondo Globale sono stati promotori e sostenitori, primo tra tutti l’Italia, non hanno ancora tenuto fede agli impegni presi già due anni fa. «Dal 2009 in poi, infatti, abbiamo assistito a una progressiva riduzione dei contributi di molti governi e addirittura, come il caso dell’Italia, ad una vera e propria interruzione dei pagamenti: il nostro Paese deve ancora al Fondo Globale le quote del 2009 e del 2010 – per un totale di 260 milioni di euro – e non è stato in grado di assumere alcun impegno economico per il triennio a venire», dichiara Kostas Moschochoritis, direttore generale di Medici senza frontiere Italia. «Questo comporta che i passi in avanti che sarebbero necessari non possono avere luogo: non si possono iniziare alla terapia nuovi pazienti, se i soldi disponibili bastano a malapena a garantire la prosecuzione delle terapie a chi il trattamento lo ha già cominciato; le migliorie necessarie ai protocolli nazionali, il perfezionamento e l’espansione della prevenzione materno-infantile vengono messe in standby». Contemporaneamente, i paesi ricchi portano avanti una politica che certo non agevola quanto sarebbe possibile l’accesso l’accesso ai farmaci generici. “Oggi sappiamo che vincere l’Aids è possibile: nel decennio trascorso si è moltiplicato il numero di farmaci antiretrovirali disponibili, molti dei quali hanno una versione generica che ha consentito l’abbattimento dei prezzi delle terapie e di conseguenza la rapida espansione dei programmi di cura. Recenti studi scientifici confermano inoltre l’estrema efficacia della terapia nel ridurre drasticamente la possibilità di trasmissione del virus ad un partner non infetto”, dichiara Stella Egidi, medico di Msf esperto in Hiv. Grazie a questi progressi, il numero dei contagi e dei decessi legati all’Hiv comincia a mostrare una parabola discendente. «L’accesso universale alle cure è dunque un obbiettivo raggiungibile – aggiunge Egidi – a patto che la comunità internazionale non dimentichi l’impegno assunto verso milioni di persone».
DISPARITA’ NELLE CURE –L’analisi di Msf tocca poi la questione farmaci. «Nei Paesi in via di sviluppo, chi ha la fortuna di avere accesso alle terapie, è ancora costretto a prendere farmaci altamente tossici, da assumere più volte al giorno, meno efficaci dei farmaci di ultima generazione che ormai da anni in Europa hanno sostituito i vecchi». Ma non solo. Anche la scelta dei tempi rischia di essere fortemente penalizzante. «Chi viene messo in terapia in Africa ha meno chances di farcela – spiegano gli specialisti di Msf -, perché i criteri che si applicano nei Paesi poveri per decidere quando cominciare la terapia prevedono ancora di aspettare una fase più avanzata della malattia, quando purtroppo l’efficacia dei farmaci sulla dinamica del virus è meno importante e il rischio di sviluppare malattie opportunistiche alto. Mentre è risaputo e dimostrato, che prima si comincia la terapia antiretrovirale – una volta che si sa di essere infetti – e meglio è per tutti. Per se stessi, prima di tutto, ma anche per la comunità, in quanto si ha meno possibilità di trasmettere il virus a qualcun altro (la carica virale si riduce e di conseguenza la contagiosità), migliora l’aspettativa di vita dei propri figli e di conseguenza l’impatto positivo si estende su tutta la società».
LA TESTIMONIANZA- L’esperienza decennale di MSF nel campo dell’Hiv-Aids ha consentito di elaborare una serie di strategie che si sono rivelate efficaci per espandere l’accesso alle cure, portandole anche là dove non si credeva possibile, come nei villaggi, dove non c’è personale sanitario altamente qualificato né ospedali, rendendole semplici e gestibili da tutti e affidando alla comunità un ruolo chiave nel sostegno alle persone in trattamento. La storia della keniota Siama Abraham Musine , come si vede nel video distribuito da Medici Senza Frontiere , 36 anni, dimostra quanto sia importante l’attività svolta a livello di base in Africa. Siamo è la quinta di sette tra fratelli e sorelle. Vive con la madre, perché il padre è morto nel 2001. Ha un figlio di vent’anni che ha cresciuto da sola. Siama è andata a scuola fino all’età di 18 anni, diplomandosi. A 21 anni ha frequentato all’università un corso di estetica e acconciature di due anni. «Ho scoperto di essere sieropositiva 16 anni fa – racconta – e da allora ho iniziato a frequentare corsi sull’Hiv/Aids, che mi hanno dato il coraggio di iniziare a parlare della malattia, condividere la mia esperienza con gli altri e insegnare a mia volta come convivere positivamente con l’Hiv». Attualmente lavora per Medici senza frontiere nel dipartimento di promozione della salute e sensibilizzazione, all’interno del Centro sanitario meridionale di Kibera e si occupa di coordinare piccoli gruppi di donne che vivono con l’Hiv. «Nei gruppi discutiamo soprattutto di come prevenire la trasmissione materno-infantile del virus e condividiamo le sfide quotidiane del vivere con l’Hiv: una pratica che aiuta sempre più madri ad avere vita più positiva. Organizzo anche delle campagne di sensibilizzazione tematiche all’interno delle cliniche con l’obiettivo di promuovere un cambiamento positivo nell’intera comunità, ponendo l’accento in particolare sulla prevenzione di nuove infezioni e la promozione dell’accesso universale alle cure».
IL MONITORAGGIO DELLE TERAPIE – A detta di Msf, gli strumenti di monitoraggio della terapia, in buona sostanza esami del sangue specifici che nel mondo occidentale sono ormai alla portata di tutti, rimangono nei paesi a basso reddito estremamente rudimentali e scarsamente disponibili. «Ci si affida sostanzialmente al dato clinico, che spesso però è troppo tardivo per consentire di riconoscere prontamente un fallimento terapeutico quando esso avviene, e di intervenire prontamente, modificando la terapia». Non basta: «Chi sviluppa resistenze ai farmaci di prima linea (ossia quando il virus non risponde più ai farmaci in uso ed è quindi necessario assumerne altri, differenti) e deve passare alla seconda (il che succede a circa il 14% dei pazienti dopo 5 anni di trattamento) nei Paesi in via di sviluppo non ha accesso al trattamento in quanto troppo costoso. Se, infatti, negli anni 2000 una serie di misure permise di proteggere i farmaci generici dai brevetti e di produrre così farmaci di prima linea a costo estremamente basso, rendendoli accessibili anche ai paesi poveri, lo stesso non è stato per i farmaci di seconda linea, la cui produzione e vendita sono ancora monopolizzate dalla grosse società farmaceutiche occidentali. Il costo di una terapia di seconda linea per un anno oggi è stimato essere almeno sette volte superiore al costo di un trattamento di prima linea».
LA SITUAZIONE IN ITALIA - L’incidenza dell’Aids in Italia è maggiore nel centro-nord rispetto al Sud e alle isole. Aumentano comunque i casi attribuibili a trasmissione sessuale, etero o omosessuale, visto che nel 2009 costituivano l’80% di tutte le segnalazioni. Sono solo alcuni dei dati diffusi all’Istituto superiore di sanità (Iss) a Roma, dove si è radunato il Forum della società civile. Il recente sistema di sorveglianza dell’infezione da Hiv nel nostro Paese indica che nel 2009 sono stati diagnosticati 4,5 nuovi casi di Hiv ogni 100 mila residenti italiani e 22,2 nuovi casi ogni 100 mila residenti stranieri, con una media di 39 anni per gli uomini e 35 per le donne. In tutto, nel nostro Paese, sono presenti tra le 143 mila e le 165 mila persone sieropositive, di cui più di 22mila con Aids. Uno su quattro, inoltre, non sa di aver contratto il virus. Il Forum della società civile italiana ha sottoscritto una dichiarazione che ricalca i punti più interessanti della propria posizione. «Oltre alle politiche di prevenzione – osserva Rosaria Iardino, presidente Nps (Network persone sieropositive) – bisogna combattere lo stigma e le discriminazioni, specialmente quelle verso i sieropositivi che si avvicinano al mondo del lavoro». Gli organizzatori, a tal proposito, lamentano l’assenza del ministero del Lavoro ai dibattiti sull’argomento. «Ma serve – prosegue Iardino – anche la garanzia della privacy e la completa disponibilità di farmaci e della diagnostica, ora ci sono condizioni inaccettabili di diseguaglianza tra cittadini residenti in regioni diverse. Anche le politiche di diagnosi alla patologia – conclude – devono essere uniformi e gratuite sul territorio».