Si è svolta questa mattina l’udienza del processo contro il MOS per l’occupazione simbolica del consiglio comunale avvenuta il 28 Giugno del 2007. Curioso che un procedimento palesemente omofobo avvenga dopo le manifestazioni contro l’omofobia di Cagliari e Sassari e la grande parata dell’Europride di sabato scorso.
Sassari. Si è svolta questa mattina la prima udienza del processo che vede imputato il MOS, nella persona di Massimo Mele, per la manifestazione a sostegno del registro delle Unioni Civili e di una mozione di condanna dell’omofobia avvenuta il 28 Giugno del 2007. Nella giornata mondiale dell’orgoglio gay, lesbico e trans, il MOS chiamò un sit in davanti al Comune di Sassari, per sostenere l’approvazione del registro delle Unioni Civili e della mozione contro l’omofobia che attendevano da mesi di essere discusse. Per tre anni il MOS, insieme a decine di gruppi e associazioni cittadine, riunite in un comitato ad hoc, aveva spinto per l’approvazione del registro, un atto simbolico per riconoscere pari dignità alle coppie di fatto, anche eterosessuali, e primo passo per una reale lotta all’omofobia, la discrimnazione contro gay e lesbiche.
Una mobilitazione che aveva coinvolto migliaia di persone tra dibattiti, conferenze ed una raccolta di ben 5000 firme a sostegno di un riconoscimento talmente elementare, la pari dignità fra tutti i legami affettivi, che il comune di Porto Torres lo approvò in poco meno di due mesi e quasi all’unanimità. A Sassari le cose andarono diversamente e, dopo una serie di sedute del consiglio comunale in cui gay e lesbiche vennero definiti malati, viziosi e pedofili da consiglieri di maggioranza e opposizione, senza alcuna censura da parte dell’allora presidente del consiglio Monica Spanedda, nè di alcun membro della Giunta, il MOS decise per una protesta simbolica davanti al Municipio. Alla fne del sit in una cinquantina di militanti entrarono nella sala del consiglio comunale, in accordo con le forze dell’ordine presenti, polizia, carabinieri e vigili urbani, e diedero vita ad un consiglio comunale autogestito che approvò, all’unanimità, sia il registro che la mozione contro l’omofobia.
Le reazione all’iniziativa furono una dimostrazione palese della profonda omofobia ancora presente in alcuni settori della società ma, sopratutto, in ampi settori della politica. Per la prima volta nella sua storia, il consiglio comunale, che pure era stato interrotto in passato da manifestazioni di vario genere, persino con l’introduzione di un asino, come ricordò il consigliere cattolico Manfredi Cao, approvò, a larghissima maggioranza, da Rifondazione Comunista ad Alleanza Nazionale, una mozione di condanna del MOS, che demandava alla magistratura il compito di verificare l’esistenza di eventuali violazioni della legge. Nella stessa seduta venne ritirata la mozione contro l’omofobia, di cui era prevista la discussione, che scomparve nei cassetti della prima commissione alla quale venne affidata. Il registro venne invece portato in votazione l’anno successivo e ottenne solo 14 voti favorevoli su 40 consiglieri.
Per Roberta Pischedda, il pubblico ministero che dal 2000 perseguita il Movimento Omosessuale Sardo con dubbi processi tutti finiti con la completa assoluzione, l’invito del consiglio comunale non era necessario. Dopo alcuni mesi firma infatti una richiesta di rinvio a giudizio per Massimo Mele, in qualità di responsabile del MOS. L’accusa suona tanto ridicola quanto pretestuosa: aver disatteso le disposizioni della Questura che, nell’autorizzazione, chiedeva di non spostarsi in corteo nelle vie circostanti per non intralciare il traffico dei veicoli. Secondo la pm, l’ingresso nel Comune, che si trova sulla piazza autorizzata dalla Questura, e lo spostamento all’interno dell’aula del consiglio, al primo piano, delineava un illecito per l’intralcio di non si sa bene quale veicolo che transitava sulle scale del palazzo del comune. Comune peraltro deserto, nessuna seduta del consiglio o della giunta, ma sopratutto luogo pubblico e quindi accessibile a qualunque cittadino.
Ma inventarsi procedimenti e accuse non comporta alcuna responsabilità, nè civile nè penale, per un magistrato che da undici anni firma procedimenti contro il MOS per fatti inesistenti. Migliaia di euro spesi dall’associazione e dalla collettività per processi che niente hanno a che vedere con l’amministrazione della giustizia. L’udienza di questa mattina, nell’aula della Corte d’Assise, sembrava una commedia demenziale assai poco divertente. Al pm Giuseppe Sanna, in sostituzione di Roberta Pischedda, autrice del procedimento, e al giudice Plinia Azzena l’arduo compito di capire il capo d’imputazione mentre Massimo Mele, in qualità di imputato e Paolo Giuliani e Tonino Satta, in qualità di testimoni, raccontavano l’andamento pacifico dell’azione simbolica. L’ingresso nell’aula vuota in accordo con i Vigili Urbani e gli uomini della digos presenti, la divertente simulazione di una seduta del consiglio comunale, l’approvazione all’unanimità del registro e della mozione contro l’omofobia, “nessuno contrario?” ironizza il giudice con un sorriso sulle labbra, e l’uscita composta e pacifica dall’aula. “I vigili urbani vi hanno accompagnato e hanno presenziato all’inziativa?” chiede stupita il giudice. “Si certo”, rispondono i testimoni. E l’avvocato Pina Zappetto mostra al giudice una foto che ritrae il finto consiglio, con le persone sedute nelle sedie dei consiglieri e Massimo Mele al posto del sindaco che parla con un megafono. Di fianco a lui un vigile urbano che tranquillamente assiste come se si trattasse di un vero consiglio comunale. Il pm, tra l’incredulo e il divertito, cerca di capire il senso del procedimento e legge e rilegge il capo d’imputazione e l’autorizzazione della Questura e alla fine ritiene superflua qualunque domanda e ascolta in silenzio le testimonianze. Sono le 14:00, non c’è tempo per il dibattimento e si rimanda tutto ad Ottobre.
La farsa è finita. Un’intera mattinata persa. Massimo Mele ha già dato mandato all’avvocato Zappetto di rinunciare alla prescrizione qualora venisse prima della prossima udienza: il reato non c’è e l’assoluzione deve essere piena. All’uscita un unico commento “Ora basta! Nei prossimi giorni metteremo nero su bianco il ricorso al CSM contro Roberta Pischedda. Questa è una vera e propria persecuzione giudiziaria, credo sia giunto il momento, dopo undici anni di processi, che la pm si assuma la responsabilità dei suoi errori e che paghi per il danno che ha causato al MOS e alle persone omosessuali di questa città!”.