Non ci sono prove. Richiesta la scarcerazione di Bruno Bellomonte

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Di Massimo Mele il 15 Aprile 2011. 1 Commento

Continua il calvario di Bruno Bellomonte, il militante di A Manca pro s’Indipendentzia arrestato due anni fa con l’accusa di aver ipotizzato un attentato contro il G8 de la Maddalena che non ha mai avuto luogo. La totale assenza di prove e persino di indagini sulle illazioni della Digos, ha spinto i difensori, finalmente, a chiedere la scarcerazione di Bruno. Ci auguriamo di rivederlo presto libero. Di seguito un articolo de La Nuova Sardegna

ROMA. Parte un’istanza di scarcerazione per Bruno Bellomonte, il ferroviere sassarese imputato insieme ad altri quattro di associazione sovversiva per aver progettato un attentato al G8 della Maddalena: i difensori Gianfranco Sollai e Simonetta Crisci stanno valutando se presentarla già all’udienza di martedì prossimo davanti alla corte d’assise.
Di certo i giudici se le troveranno sul tavolo molto prima che il dibattimento imbocchi la dirittura d’arrivo. Sono le risultanze del processo pubblico ad aver indotto i due legali a muovere il passo che potrebbe ridare la libertà a Bellomonte dopo ventidue mesi di detenzione speciale, in regime di massima sicurezza. La prima parte dell’esame di Laura Tintisona, dirigente Digos e coordinatrice delle indagini sulla presunta banda eversiva capeggiata da Luigi Fallico, ha confermato ancora una volta come l’impianto indiziario che ha indotto i pubblici ministeri Luca Tescaroli e Erminio Amelio a spedire in prigione Bellomonte sia tutt’altro che granitico. Il perno dell’accusa resta il dialogo tra l’indipendentista sassarese e Fallico registrato il 16 dicembre 2008 al ristorante romano La Suburra: nel groviglio di parole, in gran parte rimasto indecifrato anche da parte dei periti della Corte, sembra emergere un riferimento a un velivolo, un modellino di aeroplano col quale i due presunti terroristi avrebbero pensato di bombardare la sede centrale del G8. Il modellino, a quanto sostiene l’accusa, sarebbe partito da un’imbarcazione condotta da un cittadino marocchino mai identificato. Al tavolo della Suburra Bellomonte avrebbe appreso da Fallico il bizzarro progetto di azione militare. Ma anche la dirigente della Digos, che ieri ha ripercorso nei dettagli il cammino delle indagini partite nel 2006, ha dovuto ammettere come di quelle parole pronunciate nel corso di una cena non esista alcun riscontro probatorio. Alla domanda ancora una volta rivolta dal giudice a latere Federico Pugliese, la dirigente di polizia ha risposto che la sola attività seguita all’intercettazione ambientale è stata un accertamento informale: «Abbiamo chiesto in un negozio di modellini d’aereo quale potrebbe essere l’autonomia di un velivolo giocattolo e come si potesse realizzare tecnicamente un volo come quello». Nient’altro. Il giudice Pugliese ha insistito sui riscontri, che in base alle norme sono indispensabili perchè il contenuto delle intercettazioni abbia valenza probatoria: «No, non abbiamo trovato traccia di velivoli neppure nel magazzino di Fallico» ha risposto la Tintisona. Il resto dell’architettura accusatoria che riguarda Bellomonte è fondato su una sequenza di telefonate, partite in un arco di tempo di alcuni mesi, tra lui e Fallico, una da Palermo in un periodo in cui il ferroviere si trovava in Sicilia. Nessun riferimento ad attentati, solo frasi apparentemente in codice, richiami a cornici – Fallico ha un negozio di corniciaio – e appuntamenti per incontri.
È tornata a galla, nella ricostruzione della dirigente Digos, la questione delle sim card, le carte telefoniche Vodafone, trovate in possesso di Fallico, Vincenzi e poi del lulese Maurizio Calia: erano quattro e la dirigente di polizia ha detto alla corte d’assise che due risultavano attivate in Sardegna. Una è certamente quella costata l’arresto a Calia, sull’altra è mistero: non risulta agli atti dell’inchiesta, è la prima volta che si fa riferimento a un’altra scheda utilizzata in Sardegna. Saranno gli esami della testimone da parte dei pubblici ministeri e poi dei difensori a chiarire quest’aspetto.
Il resto della deposizione è stata il racconto dell’avvio dell’inchiesta. Partita a febbraio del 2007 da una certezza investigativa: Fallico aveva costituito un gruppo eversivo in grado di rapportarsi direttamente coi vertici delle nuove Brigate Rosse. La dirigente della Digos ha parlato di collegamenti con l’area di Nadia Lioce e di documenti di taglio rivoluzionario finiti nelle mani degli investigatori. Quindi una rete di telefonate tra Roma e la Liguria, cui si sono aggiunte quelle da Sassari: sette da parte di un uomo dall’accento sardo, tutte da cabine pubbliche. Fino a quelle attribuite a un certo Bruno, che per la Tintisona non sarebbe altro che Bellomonte. L’esame della dirigente andrà avanti martedì prossimo. I difensori hanno annunciato che sarà lungo e molto articolato.

One Response to Non ci sono prove. Richiesta la scarcerazione di Bruno Bellomonte

  1. enzo   16 Aprile 2011 a 14:58

    E’ ora che Bruno venga liberato………..viviamo in una finta democrazia ..sa passientzia est manna , su coru adessi puru bonu…..ma sa stanchesa est pru manna …….vale sempre la vecchia , a volte ricordata ma non ascoltata …….il sonno della ragione genera mostri , e noi ne stiamo generando troppi , per uscirne ci vorranno decenni sempre che prevalga prima o poi la consapevolezza delle nostre immense possibilità di riscatto…….ciao Bruno…………il tuo amico enzo

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