Un fatto di civiltà giuridica, ma soprattutto una chance in più per bimbi e ragazzi ai quali serve affetto
Mi sono sorpreso più volte a immaginare quale piega avrebbe potuto prendere la mia vita senza quell’atto di generosità di due sorelle di Orune, trasferitesi giovani a Nuoro negli anni della sconda guerra mondiale per trovare lavoro e indipendenza economica, che diventarono le mie genitrici di adozione, avendo risposto all’appello dell’orfanotrofio che mi ospitava. Non ricevettero alcuna garanzia sul futuro di quell’affidamento, avvenuto, sulla spinta dell’urgenza, senza molte formalità, e perciò precario sia per loro sia per me. La guerra era finita da poco e le priorità per la sopravvivenza erano forse più elementari e urgenti di qualunque pur necessaria ridefinizione degli istituti dell’affiliazione e dell’adozioni. Oggi finalmente, grazie alla recente «raccomandazione» della Corte di Cassazione, il legislatore è sollecitato a valutare l’adottabilità di minori anche da parte di persone singole.
Il mio interesse alla novità che viene dalla Cassazione non riguarda la sua sostanza giuridica, ma le considerazioni che in relazione ad essa possono derivare da un vissuto personale, sempre e comunque problematico.
A mio modo di vedere, la questione aperta non riguarda semplicemente le condizioni materiali di sussistenza e di sopravvivenza del minore che si trova immesso in questi impervi percorsi esistenziali, quanto piuttosto ciò che questa persona andrà elaborando nel corso della sua esperienza sulla sua collocazione nella vita e nel mondo, per sé stesso e in rapporto agli altri.
Rispetto a tutto ciò è fondamentale non essere soli, là dove è sicuramente insufficiente ogni forma di assistenza istituzionalizzata, inevitabilmente anaffettiva e inadeguata a sorreggere e affiancare la crescita di un minore che – comunque vada – avrà una grande fatica a dare risposta ai suoi «perché», a percepire una propria accettabile collocazione rispetto al mondo circostante, per tutta la minore età e forse oltre.
Ho imparato a capire la necessità di una guida genitoriale, che spezzi la percezione di non radicamento, di solitudine e abbandono, che depotenziano la vita del minore privato di punti di riferimento. Ho imparato a capire ciò che accade, nel tumulto di sentimenti confusi ma vitali, quando, in quell’età e in quella condizione, qualcuno ti si accosta col limpido atteggiamento di chi intende assumersi una responsabilità rispetto a te, ai tuoi giorni, alla tua vita. E nel contempo si scoprono l’essenza e il senso di quei sentimenti a cui crescendo darai nome: padre, madre, famiglia.
Sono perciò favorevole a quanto chiede la Corte di Cassazione, consapevole che la strada dei «se» e dei «ma» fino a giungere al compimento legislativo di quella che è oggi una semplice «raccomandazione» sarà lunga e complessa: tuttavia si è dischiusa una porta. Certo, meglio una famiglia che assicuri entrambe le figure genitoriali. Tuttavia il punto di vista da privilegiare non è quello, pur importante, di assicurare con l’adozione la pienezza di senso nella costituzione della coppia, da cui poi nascerà la famiglia. Ben comprendo l’importanza delle cautele che propongono i sostenitori delle tesi più inclini alla famiglia tradizionale. Ma io sono persuaso che sia di gran lunga più importante allargare il campo delle opportunità per il minore, e dunque del contrasto alla vaghezza e alla vuota solitudine della sua vita finché non ha nessuno intorno a sé che si preoccupi di farlo esistere affettivamente e socialmente.
D’altro canto la vita reale non ha bisogno di simulare sé stessa: ricordiamo tutti il caso di cronaca di quell’adolescente, in affido ad una famiglia lontana che compie un incredibile viaggio da clandestino per raggiungere suo padre, giudicato inadatto dalle istituzioni preposte, sicuramente deficitario nella sua offerta di tutela genitoriale, ma che l’adolescente, con la consapevolezza che dà l’amore filiale, assolveva dalle sue manchevolezze, sentendo di poter essere felice solo accanto a quel padre. C’est la vie!
di Mario Zidda, ex sindaco di Nuoro, in Opinioni di La Nuova Sardegna del 26/02/2011