EGITTO. Il sito Gayegypt.com invita gay e lesbiche egiziani ad unirsi alla rivolta. “La comunità gay e lesbica in Egitto ha subito per troppo tempo la brutalità e le torture della polizia. GayEgypt.com invita tutte le lesbiche e gay ad unirsi ai loro fratelli e sorelle in strada per chiedere un cambiamento immediato”.
All’appello seguono alcuni consigli sulla sicurezza “Preghiamo tutti di fare attenzione, cercate di minimizzare i rischi. Non camminate per Tahrir Square da soli ma cercate di andare sempre in gruppo. Se avete amici che abitano nei pressi della piazza contattateli in modo da avere un posto dove rifugiarvi in caso di emergenza. In caso contrario, se ti trovi da solo, di notte, cerca una moschea o una chiesa in cui è possibile rifugiarsi. Ma non vi arrendete – quello che succede qui avrà un impatto duraturo sul mondo arabo”.
La rivolta in Egitto investe trasversalmente tutte le classi sociali e tutte le componenti politiche che non si riconoscono nel regime di Mubarak, dai fondamentalisti fino a gay e lesbiche. Segno, questo, che la dittatura laica di Mubarak non era più sostenibile. L’invito a rifugiarsi in una moschea o in una chiesa è esemplificativo della realtà che molti egiziani sono costretti a vivere attualmente. Prioritario, ora, abbattere il regime, quello che verrà dopo, comunque sia, sarà sempre meglio dell’attuale dittatura.
Massimo Mele
Un aggiornamento della situazione in Egitto da Giornalettismo.com
Quale il ruolo delle forze armate nelle rivolte contro il raìs? Fra repressione e difesa dei manifestanti, la lotta per la successione è già iniziata.
C’è una parte dell’analisi delle vicende che stanno infuocando l’Oriente Vicino che meriterebbe, forse, un’attenzione maggiore di quella che finora ha ricevuto: ovvero, il ruolo delle forze armate – in questo caso, egiziane – nel dirimere e pilotare il conflitto sociale. Quale il posto dei militari nel vasto fronte che si oppone ad Hosni Mubarak? I protestanti li accusano di complicità con il regime; il candidato alla guida dell’Egitto democratico, Mohamed ElBaradei, ha rivolto un accorato appello affinchè gli egiziani che vestono una divisa si dimostrino solidali con i protestanti.
IL RUOLO DELL’ESERCITO – Il ruolo delle forze armate è oggetto di un reportage dei servizi di agenzia internazionale rilanciati in Italia dall’Apcom.
L’attendismo apparente dell’esercito egiziano, che non utilizza la forza contro i manifestanti ma non si oppone agli attacchi contro di loro, suscita degli interrogativi e una certezza: il suo ruolo sarà decisivo indipendentemente dall’esito della crisi. Complicità con la repressione poliziesca, prudenza a fronte di una situazione in divenire, gerarchia divisa, volontà di guadagnare tempo per negoziare un’uscita al presidente Hosni Mubarak: gli esperti si interrogano sulle ragioni di questo comportamento. Il primo alto militare a recarsi di persona sulla piazza Tahrir al Cairo, in mezzo ai manifestanti anti-Mubarak, è stato oggi il ministro della Difesa, Mohamed Hussein Tantawi, venuto a “ispezionare la situazione”. E il più alto ufficiale americano, l’ammiraglio Mike Mullen, ha affermato di aver ricevuto rassicurazioni da parte della gerarchia militare egiziana che i soldati non apriranno il fuoco contro i manifestanti, attesi oggi in massa nel Paese per invocare le dimissioni del presidente Mubarak.
Ma la virata delle forze armate a sostegno del fronte per il cambiamento è più di una voce rubata, più di un insider.
IN PIAZZA – Sono le stesse agenzie internazionali ad informarci che, in mattinata, l’esercito si è compiutamente schierato.
“Siamo qui per proteggervi, i sostenitori del governo non entreranno”: e’ il messaggio che i militari scandiscono con gli altoparlanti in piazza Tahrir al Cairo, mentre all’esterno gruppi di sostenitori di Hosni Mubarak iniziano a radunarsi.
Difenderanno i manifestanti, dunque, dalle milizie in borghese che il raìs del Cairo, Hosni Mubarak, ha reclutato per contrastare i manifestanti che si radunano in piazza Tahrir, armandoli con cavalli e cammelli: almeno, queste sono le accuse dell’opposizione.
FRA LA POPOLAZIONE – Non che l’esercito abbia intenzioni strettamente umanitarie, ripete l’ApCom citando l’Agencie France Presse. Il punto è il consenso che le forze armate vogliono mantenere negli strati della popolazione che protestano contro Mubarak.
“L’esercito – vale a dire lo Stato maggiore e i servizi – non vuole dare l’impressione d’intervenire, perchè vuole prendere il potere. Attende che glielo si chieda, per apparire come un salvatore”, afferma Imad Gad, del centro di Studi al Ahram del Cairo. Fedele ad un regime di cui costituisce la spina dorsale, l’esercito è anche rispettato dalla popolazione, un eredità che deve ad una tradizione di non intervento di fronte ai sollevamenti popolari e al ricordo delle guerre arabo-israeliane.
Un doppio ruolo dunque, per l’esercito egiziano: per un verso, figli d’Egitto costretti in armi che “non saprebbero mantenere l’ordine”. Non hanno nè la tradizione, nè la formazione e nè la voglia ed è difficile chiedere a dei coscritti di aprire il fuoco sui civili” – afferma un’altro studioso francese esperto di fatti egiziani; per un altro, parte attiva di un gioco politico che già pensa al post-Mubarak, ma che nel momento si trova in una situazione di forte empasse.
GERARCHIA INTERROTTA – D’altronde, con la linea gerarchica interrotta, l’anarchia dilaga. Che fare? Quali ordini ha l’esercito per rapportarsi con la protesta di piazza? Nessuno lo sa.
L’indecisione dei militari sul campo riflette quella della gerarchia e del regime. “Non hanno istruzioni dal vertice, perché lo stesso vertice non sa che fare”. “Non vuole affrontare la popolazione ma non vuole neanche mettere alla porta il presidente” come vorrebbe la folla, afferma Tewfik Aclimandos. “Guadagnare tempo”, per negoziare una uscita dignitosa del presidente e le condizioni di una transizione. Malgrado la sua cultura del segreto, l’apparato militare lascia filtrare alcune tensioni interni.
REGIME CHANGE – Ma la sicurezza è quella di poter giocare un ruolo sostanziale nella transizione: una volta, però, che saranno risolti alcuni giochi di poteri interni all’armata che vedono confrontarsi la vecchia guardia dell’esercito finora composto e i nuovi ufficiali che vedono nelle rivolte un modo per salire al potere.
Il vice presidente, generale Omar Suleiman, è ben visto dagli americani e dagli israeliani, ma, ex capo dei servizi segreti, incarna l’eredità dell’era Mubarak. Dei giovani ufficiali per esempio potrebbero voler giocare un ruolo più importante rispetto ad una vecchia guardia militare molto legata al presidente al potere fa trent’anni. Il capo di Stato maggiore, Sami Anan, regolare interlocutore degli americani in questi ultimi tempi, potrebbe approfittarne. A meno che non lo faccia il Primo ministro, generale Ahmad Chafic, ex ministro dell’Aviazione.
D’altronde l’esercito ha dato all’Egitto “tutti i presidenti” della sua storia: anche Hosni Mubarak, alla salita al potere, era un giovane ufficiale dell’armata egiziana.