USA. Kameron Jacobsen aveva 14 anni e viveva nella comunità di Orange Country, a New York (Stati Uniti). Nella sua vita, però, c’era un problema che evidentemente stava diventando per lui ogni giorno sempre più insopportabile: i suoi compagni lo prendevano in giro perché il suo comportamento lasciava pensare che fosse gay. Insulti gratuite e battute poco piacevoli venivano anche lanciate attraverso Facebook, tormentando il giovano anche quando si trovava a distanza dai suoi aguzzini.
Lui non ha trovato altro modo di rispondere se non quello di togliersi la vita. E quando un ragazzo di quell’età non trova risposte e combatte da solo una battaglia troppo grossa per lui, la colpa non può che essere della società che non è stata in grado di offrirgli o di rendergli accessibili quelle risposte tanto cercate.
La comunità si dice shoccata dal fatto, ma quel che è più aberrante, è che neppure la morte ha posto fine a quell’ondata di messaggi omofobi. La sorella denuncia come tutt’ora continuino a venir postate sulla pagina di Kameron insulti e prese in giro riguardo al suo orientamento sessuale.
Il suo caso non è isolato: già la scorsa settimana un altro ragazzino si è suicidato perché preso in giro per il suo orientamento sessuale dai compagni della squadra di football. Ora finalmente le autorità scolastiche hanno annunciato di voler prendere dei provvedimenti, organizzando corsi rieducativi per studenti e professori per mettere fine a quell’ondata omofoba. Un provvedimento necessario, ma che arriva troppo tardi, dopo che due giovani vite sono state spezzate.
Anche Facebook ha rilasciato una nota sull’accaduto: si dicono addolorati per quanto successo e rinnovano il loro impegno a combattere queste forme di violenza chiedendo agli utenti di segnalare al loro staff questi fenomeni d’odio.