Per il mondo accademico anglosassone, gli studi di genere (Gender Studies) non sono certo una novità. Oltremanica, si sa, particolare attenzione viene da sempre assegnata alle pari opportunità e al rispetto dei diritti costituzionali di ciascuna minoranza, compresa quella gay.
In Italia le cose vanno assai diversamente. Sarà per la vicina presenza (e influenza) del Vaticano, sarà per una ormai consolidata (e presunta) ortodossia della nostra politica, fatto sta che da noi i Gender Studies non hanno mai goduto di particolare autonomia.
Alla Statale di Milano si è così pensato di promuovere un corso di ‘Gender Studies e Queer Theory’. Gli ideatori certo non si aspettavano, però, la dura e volgare polemica messa in piedi dal quotidiano ‘Libero’, secondo cui alla Statale si danno ‘lezioni di froceria’ agli studenti, per “insegnare a fare gli omosessuali”. Un corso che “attiene alla sfera dell’inutilità”, una “puttanata”, è il giudizio espresso da Francesco Specchia, il giornalista autore del poco edificante articolo.
“Alta froceria. Chissà se, tra una lezione e l’altra, risuoneranno i Village People; se verrà recitato “La lingua perduta della gru” del finissimo David Leavitt; se saranno proiettate le puntate dei Simpson in cui il religiosissimo Nell Flanders scopre che il figlio è una checca o quella in cui Jerry Rude ospita delle gladiatrici lesbiche nel suo talk show”: è questo l’assai poco felice incipit dell’articolo di Specchia, che ancora non contento del basso e gratuito umorismo del suo pezzo, rivela che “i prof spiegano che il suddetto corso è la reazione, evocata dal collettivo gay universitario, ‘all’attacco omofobo subito da un ragazzo in Statale’. Il che – spiega Specchia con non indifferente fantasia – è come dire che se ti fottono il motorino sotto la facoltà, il giorno dopo urge un seminario su ‘Furto con destrezza tra motocicli di piccola cilindrata: eziologia dei processi cognitivi’, 15 lezioni e 4 crediti: così la gente capisce che rubare non è politicamente corretto”.
Ci vorrà forse ancora del tempo prima che anche in Italia studi del genere possano godere della dovuta attenzione in ambiente accademico. Sarà un’attesa lunga quanto quella che precederà l’abbattimento dell’enorme muro di omofobia che ancora sovrasta l’orizzonte di tanti fini umoristi.
RISPOSTA DI SPECCHIA
A parte il prof. Winkler che insegna al corso, nessuno di voi ha letto il pezzo e vengono riportate ad arte frasi estrapolate. 1)Tutto il pezzo era sul filo dell’ironia. “alta froceria” è una citazione da Lenny Bruce e Capote, entrambi gay perseguitati e miei miti; la usa anche Dagospia.
2) Io sono un liberale che conoesce bene il mondo gay che si è batutto contro le discriminazioni di una destra becera; che ha lavorato con gay che la pensano sull’ostentazioen eccessiva da gay pride esattamente come me;
3) Avendo putrtoppo anche insegnato all’univesrità e conoscendone bene la crisi ribadisco che tale corso non doveva essere inserito (con costi enormi) con lezioni a cerdito, ma come seminario o come lezioni a pagamento (come fatto nel 2006 a Bologna);
4)Sul coming out: non ho mai detto che lo condanno, anzi. Però, da liberale, rispetto fortemente la scelta di chi vuol tenere la propria vita sessuale limitata solo al suo privato, per pudore, per discrezione e soltanto perché ne ha voglia. E’ come il ricco o l’ebreo che non tiene a sbandierare il suo 740 o la Torah perché fanno parte solo e soltanto della propri intimità. L’essere gay è condizione normale, seppur minoritaria; ma se voi trovate omosessuali che vedono puntualmente violati i loro diritti costituzionali, in quel caso, bè, sì che bisognerebbe sollevare un vespaio. Ma non perché chi subisce la violazione sia gay, semplicemente perché è una persona.
Non ci provate a darmi dell’omosessuale senza sapere nulla di me e senza aver letto nemmeno l’articolo. cordialmente
Francesco Specchia
ERRATA CORRIGE :Nel postprecedente terzultima riga, da leggersi “non ci provate a darmi dell’OMOFOBO”, dell’ omossesuale potete tranquillamente
fs
La sua replica suona più come una conferma che come una smentita. L’omofobia ha tante facce e, a mio avviso, questo tipo di attacchi rientrano in un’accezione dell’omofobia che chiamerei “denigrazione squalificante”. E squalificante, di un’esistenza gay vissuta con sofferenza come tante in Italia, è anche questa sorta di “relativismo sociale” in cui si vuol far passare l’idea che la discriminazione sia ascrivibile a comportamenti soggettivi piuttosto che ad una cultura etero maschile che nega le differenze ed impone comnportamenti codificati che possono, al limite, essere integrati da altri comportamenti similari se declinati allo stesso modo. L’omofobia è tutta li. Anche l’utilizzo delle “amicizie gay” è sintomo di omofobia. Per esprimere il mio antirazzismo non ho bisogno di portare ad esempio eventuali amicizie con persone di altra etnia o colore della pelle. Sono i nostri comportamenti e le nostre poarole che ci definiscono. Così come il pensare che l’esistenza di gay che criticano il gay pride giustifichi o attenui, in qualche modo, un giudizio così conservatore e piccolo borghese che riduce i pride a semplice ostentazione. Da un giornalista mi aspetterei un pò di più, anche di quello che pensa un omosessuale che ancora non si è liberato di quel sentimento di inferiorità generato dall’introiezione del senso di colpa. Pride=ostentazione …. ma basta!! Ma che palle … sopratutto da lei che scrive in un giornale che ha sempre giustificato lo squallore mercificatorio del potere, parlo di Berlusconi e dei suoi festini. Il Pride è insieme una festa ed una manifestazione. Andare in piazza per esprimere l’orgoglio di esistere contro una società che ti esclude, uno Stato che ritiene i “futili motivi” più gravi dell’odio verso gay e lesbiche, una stampa che ci spaccia le solite idiozie mainstream di una società catatonica e idiota incollata alle tette e ai culi che vede in TV ma si offende quando vede un capezzolo al Pride. Davvero basta! ne abbiamo le palle piene di benpensanti pseudoliberali che non vedono più in là del loro cazzo! Davvero basta!. Nessun fraintendimento. Lei si può autodefinire come vuole ma quello che scrive la descrive in maniera più veritiera.
Cordiali saluti
Massimo Mele