I sardi sono convinti di essere in perfetta forma e si ritengono virtuosi cittadini che rispettano le regole sociali. Ma a far vacillare tanta sicumera, anzi a dargli una forte spallata, è intervenuto l’Istituto superiore della Sanità con il rapporto Passi relativo al 2009, che ha disegnato il profilo degli italiani elaborando interviste e dati messi a disposizione da 149 aziende sanitarie.
La ricerca ha preso in considerazione un campione di 21.498 persone di età compresa tra i 18 e i 69 anni in 20 Regioni italiane. E’ così che i sardi si piazzano tra i più sedentari, i fumatori, i ciccioni e, soprattutto, sono in pole position tra i depressi in barba al luogo comune che vorrebbe le popolazioni che vivono dove il sole scalda per molti mesi l’anno tra i più allegri del mondo.
Noi siamo tristi come gli eschimesi. Ci consola sapere che sì, ci piace l’alcol, ma che il primato tra chi solleva il gomito appartiene al Nord. I sardi poi sono buoni cittadini: non avrebbero difficoltà a rispettare le regole. E infatti l’85,36% ha acquisito bene il concetto che, nei locali pubblici, non si deve fumare, l’80% usa le cinture di sicurezza (ma questo dato non è disarticolato per Regione e riguarda il Centro) ed è ligio nell’assicurarsi il casco sulla testa prima di salire sulla moto.
Quindi, se sul fronte sociale possono essere promossi, il loro stato di salute richiede almeno qualche riflessione. Va detto che per quanto riguarda l’isola, mancano elementi su alcune aree: l’Ogliastra e una parte del Campidano e della Planargia, per cui le conclusioni della ricerca potrebbero risultare drogate, e lo stesso assessore alla Sanità Antonello Liori, del resto, lascia intendere di non essere completamento convinto delle conclusioni, ma resta il fatto che il rapporto Passi è un sistema di sorveglianza promosso dal ministero del Welfare.
Il dato che balza agli occhi nella ricerca sulla Sardegna quindi è quello relativo alla depressione che pesa sul 9,83% dei sardi, 1 a 10, mentre la media nazionale è di 1 a 15. Malinconici compagni, in seconda e terza posizione, sono i calabresi, con il 9,28% e i liguri con 8,90%.
«Ma è un dato che non sorprende – commenta Noemi Sanna, dirigente medico dell’istituto di Psichiatria e docente all’Università di Sassari – la depressione è una malattia molto diffusa soprattutto nel centro della Sardegna dove si manifesta con sintomi differenti rispetto alle zone costiere e alle città. E inoltre i sardi sono un popolo provato dalla mancanza di speranze e dalla disoccupazione ormai da troppi anni». Vittime donne e uomini in uguale misura, anche se la bilancia pende un po’ più verso le prime. «Nelle zone del centro della Sardegna alle donne è toccato sempre un falso ruolo di matriarcato – spiega Noemi Sanna – ma di fatto prima erano costrette ad assumere un ruolo maschile perchè i loro mariti vivevano lontani appresso alle greggi; ora devono avere un compito consolatorio, perchè è sulle loro spalle che vengono riversate le frustrazioni accumulate sul fronte del lavoro». Insomma, devono essere sempre granitiche, forti, «guai a lasciarsi andare – dice Noemi Sanna – questo è un lusso che non le viene concesso». E la depressione così inizia a farsi strada.
Per quanto forse (per ora) troppo azzardato, gli psichiatri valutano un possibile legame tra la malattia e il corredo genetico. «Non parliamo di familiarità, che nella depressione è appurata – ma come esistono studi sulla longevità della popolazione che ha vissuto a lungo isolata, così come è certo che ci sia una relazione tra genetica e sclerosi multipla, non si può escludere a priori che la depressione faccia parte del pacchetto genetico di una popolazione».
E contemporaneamente la prostrazione trova nutrimento nel disagio sociale. «Chi non vede un futuro da proiettare cade in depressione – dice Noemi Sanna – i giovani come il padre che perde il lavoro. Quel che è certo è che anche in questo caso sono le donne a pagare il prezzo più alto perchè alle madri e alle mogli spetta il ruolo consolatorio e quello di far quadrare i bilanci anche quando l’operazione è impossibile».
Sempre più spesso chi cade in depressione cerca aiuto. Secondo i dati nazionali il 40% si rivolge al medico di base che indica le strutture idonee. «In clinica negli ultimi anni il numero dei pazienti è aumentato – conferma la psichiatra Noemi Sanna – ed è vero che la percezione e la sensibilità nei confronti della malattia è aumentata».
Da La Nuova Sardegna