Dalle occupazioni al corteo: voci, suoni ed immagini dal movimento studentesco

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Di Massimo Mele il 15 Dicembre 2010. Nessun commento

Tutto in 24 ore, dall’occupazione festosa agli eccessi della polizia e dei black block in via del Corso. Un movimento che è già una generazione si presenta all’appuntamento più importante della sua vita.

La giornata del manifestante inizia la notte. La sera, il giorno prima della manifestazione. Le università italiane sono vive. Ci aggiriamo per la notte della Sapienza, l’ateneo romano, occupato in maniera massiccia: ovunque, luci accese. Medicina e Matematica, poi Lettere e dietro Biologia. Giurisprudenza, Geologia, Scienze, Fisica, Scienze Politiche: tutta la città universitaria è sveglia. Cineforum in tutte le facoltà, a Matematica c’è una rassegna che spazia da Sabina Guzzanti a Gian Maria Volontè; a Lettere il giornalista di Repubblica Curzio Maltese e la collaboratrice dell’Unità Igiaba Scego duettano in una iniziativa pubblica. L’aula Francesco Calasso di Giurisprudenza è in assemblea, a seguire si proietta la puntata di “Blu Notte” di Carlo Lucarelli sui fatti del G8 di Genova, nel 2001. Perdigiorno? Forse. Certo qualcuno tirerà tardi. Ma la linea è dettata da un manifesto affisso sui muri delle facoltà: quello dell’assemblea di Matematica recita: “E a una cert’ora tutti a dormire, che domani c’è la manifestazione. Concentramento ore 930, a piazzale Aldo Moro.”

MEGAFONI – La mattina dopo gli occupanti che hanno dormito nelle facoltà sono negli atri degli edifici con il megafono ad intercettare gli studenti che si dirigono a lezione. Qualcuno magari non sa del corteo. Di questa esigua percentuale, forse qualcuno accetterà di boicottare per un giorno la vita accademica per partecipare alla mobilitazione. Chissà: saranno in pochi, lo sanno. Ma qui chi porta il megafono lo fa perché ci crede. La convinzione di questa lotta è palpabile nei volti degli organizzatori. Si potrà sostenere che si è distanti dalle loro azioni e dalle loro pratiche politiche. Magari le idee propagandate non piacciono. Ma l’onore delle armi agli studenti che si sono presi in spalla la responsabilità e tutto il peso dell’organizzazione della prima mobilitazione studentesca dell’era digitale, sarebbe malafede negarglielo. Tavoli ammassati, sacchi a pelo e stuoie in materiale sintetico popolano le aule occupate delle facoltà dove gli studenti hanno passato la notte. Il mondo, loro pensano, si divide in due: quelli che potranno dire di esserci stati, e quelli che non potranno dirlo.

AL CONCENTRAMENTO
– Il concentramento a Piazza Aldo Moro deborda. Il corteo parte. Qualche bandiera, ma per lo più cartellonistica autogestita. Una parte importante della serata, nelle assemblee, è stata dedicata alla creazione degli slogan. “Rimandiamo le analisi politiche ad altra sede, questa è una punta creativa”, si sente ripetere nei luoghi decisionali – pilotati o meno, non si creda che le buone pratiche della politica siano scomparse – intendendo che è il momento di produrre e non di pensare. Grandi lenzuola colorate, rosse o blu, pennelli e vernice. Secchi di colla, scope, manifesti da portarsi dietro domani; bombolette spray. Si chiama “riprendersi la città”, e significa introdurre quel minimo di inevitabile anarchia in un meccanismo che di oliato ha molto poco: “Iniziamo a creare davvero qualche disagio a questa città”, si sentirà dai megafoni durante il corteo. Ma per ora, è ancora tutta organizzazione. “Chi regge lo striscione? Chi al servizio d’ordine? Chi sui lati? La priorità è mantenere lo spezzone compatto”. Anche questa è identità. C’è lo spezzone studentesco universitario, diviso negli striscioni delle varie facoltà: chi sta prima, chi sta dopo? Le strutture che operano al di sopra delle assemblee interne lo hanno deciso in riunioni separate.

IL CORTEO – Non solo gli studenti. C’è la delegazione delle bandiere nero-verde aquilane; ci sono i sommersi di spazzatura di Terzigno; ci sono le reti contro la crisi. In mezzo, si annida anche qualche passamontagna nero. Le notizie in questi minuti ci informano di spranghe di ferro saltate fuori da chissà dove, di assedi alle camionette delle forze dell’ordine. Qualcuno dalle facoltà è uscito con i caschi a portata di mano: evidentemente, quest’esito era previsto – ma le ambulanze a Via del Corso, che accorrono in questi minuti, probabilmente no. Fino a Piazza Venezia il corteo partito da Piazza Aldo Moro scorre relativamente festoso. Quando entra in via dei Fori Imperiali la coda del corteo è ancora alla Stazione Termini: una manifestazione nata dal nulla che è lunga quanto l’ampia via Cavour, che taglia l’antico quartiere della Roma Antica della Suburra, il luogo della classe subalterna, la zona costruita con le case di legno che andavano regolarmente a fuoco e con la più efficiente pattuglia di pompieri dell’antica Urbe. I megafoni ritmano gli slogan; quando chi è d’accordo con la mobilitazione si sporge dalle finestre, magari per esporre una bandiera, scatta l’ovazione. Le radio sono sintonizzate su Radio Radicale o su Gr Parlamento, per seguire il dibattito sulla fiducia. Ad un certo punto sale un urlo: “Il Governo è caduto!”. Canti, balli in piazza, fischietti a tutta forza per festeggiare la vittoria della lotta. Ma è una bugia: l’aula di Montecitorio, grazie alla defezione determinante di alcuni esponenti di Futuro e Libertà per l’Italia, ha confermato la fiducia a Silvio Berlusconi presidente del Consiglio. “Vergogna, Vergogna”, si alza la protesta. La giornata di sole si rabbuia. Il fragore delle bombe carta, che aveva iniziato a farsi sentire imponente dall’altezza di Piazza Venezia, si fa più forte. Corso Vittorio Emanuele, la manifestazione deviata muta Dna. Esce fuori il suo lato oscuro: vetrine di banche assaltate, la Deutsche Bank presa d’assedio; i negozi chiudono, a volte con dentro i clienti. “Vergogna, fermatevi, così rovinate tutto”, grida qualcuno. Ma è tutto inutile. Una Mercedes sul lungotevere va a fuoco, ci informano le agenzie quando già, dopo una corsa sostenuta, abbiamo guadagnato un luogo dove stendere queste parole. “Che ce l’hai tu, questo?”, ci aveva chiesto un manifestante, mostrandoci le gocce di collirio anti lacrimogeno. Previdente.

Da Giornalettismo.com

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