Incontri e dibattiti nel giorno della polemica scoppiata a Udine e Pordenone
«Chiederesti mai a un eterosessuale quando ha scoperto di esserlo?». La domanda è provocatoria e ribalta la prospettiva sul mondo gay. Nel giorno in cui scoppia la polemica perché la Provincia di Udine e quella di Pordenone hanno negato il patrocinio al progetto contro l’omofobia, l’iniziativa promossa dal Circolo Arcobaleno Arcigay Arcilesbica di Trieste sbarca nell’Isontino. Lo scorso anno “A scuola per conoscerci” era stato accolto dagli istituti di tutte le province della regione eccetto quella di Gorizia, oggi succede l’esatto contrario.
Ieri, il presidente del circolo Arcobaleno, Davide Zotti, ne ha illustrato i contenuti agli insegnanti, agli alunni e ai genitori dell’Itc Einaudi-Marconi, lo ha fatto insieme alla psicoterapeuta dell’Azienda sanitaria 2, Adriana Monzani. «Il fine è creare un contesto di solidarietà e di collaborazione», ha sottolineato Zotti. Lo scorso anno nel corso delle 100 ore di attività didattica curriculare sono stati coinvolti 500 studenti, 30 insegnanti e 16 volontari. Nel corso degli incontri sono stati prima introdotti i concetti di identità di genere e di orientamento sessuale poi sono state avviate discussioni libere con persone che vivono la loro omossessualità in contesti quotidiani: professionisti, operai, insegnanti. Persone normali, in contesti normali.
«Fino alla metà degli anni Novanta – ha ricordato la dottoressa Monzani -, l’omosessualità era considerata una malattia e inserita nel manuale di psicoterapia. La ricerca per fortuna evolve e ora l’orientamento omosessuale è riconosciuto come una condizione allo stesso modo di quella eterosessuale. Su questo tema, in Italia, non siamo però ancora molto evoluti. I mass-media, spesso, anziché chiarire, alimentano i pregiudizi e le false credenze. Qualche volta i genitori impauriti ci chiedono di aiutare i ragazzi a diventare normali. Uno psicologo che accettasse di eseguire la psicoterapia riparativa potrebbe essere deferito all’ordine. Oltre ad essere una terapia inefficace, rischia di diventare devastante perché non aiuta il paziente, anzi in America spinge molti al suicidio. I genitori dovrebbero sperare che i propri figli possano incontrare persone che le amino e con cui avviare relazioni affettive con dei progetti di vita. Non importa poi quale sia il suo sesso. L’importante è che ci sia serenità».
da gaynews.it