Attrice per caso, diva con animo casual, bisessuale: ritratto di una donna speciale nel libro della Palumbo
Tutto qui. Quando il marito di sua nipote, Gray Reisfield, le chiese se aveva denunciato ai britannici le spie nazista infiltrate a Stoccolma, come aveva sostenuto il super agente segreto di Sua Maestà William Stephenson, Greta Garbo si limitò a non smentire. E d’altra parte perché avrebbe dovuto svelarsi la donna che aveva costruito il suo mito sul mistero, che non a caso aveva interpretato la parte di una spia russa in The Mysterious Lady (1928), era poi stata un’indimenticabile Mata Hari (1931) e un’ancor più indimenticabile Ninotchka, nel film di Ernst Lubitsch del 1939? Di certo si sa solo che Hitler l’ammirava e la scriveva. E lei fantasticò di ucciderlo. Ma chi era davvero questa ragazzona svedese che è diventata l’icona stessa del fascino femminile?
Nata a Stoccolma, il 18 settembre 1905, Greta Lovisa Gustafsson, avrebbe poi confessato: «Un momento ero felice e l’attimo dopo molto depressa; non ricordo di essere stata davvero bambina come molti miei altri coetanei. Ma il gioco preferito era fare teatro: recitare, organizzare spettacoli nella cucina di casa, truccarsi, mettersi addossi abiti vecchi o stracci e immaginare drammi e commedie». A 14 anni dovette abbandonare la scuola perché il papà, Karl Alfred, si era gravemente ammalato. Nel 1920 lo accompagnò in un ricovero: sottoposta a un fuoco di fila di domande e controlli imbarazzanti si promise il riscatto. «Da quel momento decisi che dovevo guadagnare tanti soldi da non dover mai più essere sottoposta a una umiliazione simile». Ma il padre morì e le cose peggiorarono: lavorò in una bottega di barbiere, poi fece la commessa nei magazzini Pub di Stoccolma. La notarono subito e le fecero fare qualche pubblicità per la casa. La svolta arrivò nel 1922: servì il regista Erik Arthur Petschler, che era a caccia di cappelli, e si propose per una particina qualsiasi. Finì con il comparire, quasi inosservata, come bellezza al bagno nel film Peter il vagabondo. Ma Greta aveva davvero stoffa: superò il difficile test di ammissione alla scuola del Teatro regio di Stoccolma, nella quale venne accolta con soli altri sei compagni. Nel giro di un anno riuscì a lavorare sulla sua voce, fu notata dal regista Muritz Stiller, e prese il cognome Garbo.
Nel 1924, apparve in Gösta Berling Saga di Stiller. Il film fu considerato un capolavoro in tutta Europa. Nel 1925 Greta ebbe il ruolo di protagonista in Die Freudlose Gasse o Joyless Street, una specie di versione soap della Traviata di Georg Wilhelm Pabst, lo stesso regista che nel 1929 avrebbe girato Pandora’s Box (dal dramma di Frank Wedekind) con Louise Brooks. Subito dopo, nell’estate del 1925, la languida fanciullona si trovò assoldata dalla Metro-Goldwyn Mayer: merito di Stiller che l’andava modellando ad attrice con raro intuito (…) La Garbo detestava il ruolo di seduttrice, pretendeva di interpretare eroine positive. E faceva il contrario anche nella vita (…) In ogni caso produttori e registi, con la scusa del botteghino, continuarono ad affibbiarle ruoli da femme fatale. Probabilmente ci vedevano meglio della ribelle fanciulla, che pure, sul set, seppe sempre imporsi: per esempio, mentre si girava non voleva nessuno intorno. Quasi peggio dopo: si chiudeva in camerino, non accettava interviste, difendeva la sua vita privata con (giustificata) caparbietà. Fu Marguerite Gauthier e Anna Karenina, spia e prostituta. Nel 1927 arrivò il sonoro, lei si mise a studiare dizione inglese con impegno e, per Anna Christie (1930), battage pubblicitario e stampa poterono finalmente annunciare: «Garbo talks», «la Garbo parla». La sua prima frase è passata alla storia (non solo della satira): «Jimmy, un wisky con ginger ale a parte. E non fare l’avaro, baby». Nel 1939, per pubblicizzare Ninotchka lo slogan subì un’evoluzione. «Garbo laughs», «la Garbo ride». Non a lungo in pubblico, ancora. Nel 1941, convinta che stesse arrivando il tramonto, lo precedette e scomparve dalle scene. Da quel momento alla morte, il 15 aprile 1990, a 85 anni, tutto fu segreto, occhialoni neri, amori nascosti ma spesso tenaci. O brevi ma teneri, come avrebbe ricordato anche Louise Brooks, il caschetto più trasgressivo di Hollywood, sua fuggevole amante (…) Ossessionata dalla privacy, al contrario della Dietrich, la Garbo non ha mai nemmeno lasciato capire chi fossero esattamente i suoi uomini. O che tipo di rapporti intrattenesse von loro: il grande fotografo omosessuale, Sir Cecil Beaton, sviluppò nei suoi confronti una vera e propria ossessione. Snobissimo e mondanissimo ritrattista della corte britannica, Beaton notò con un certo compiacimento che la Garbo non possedeva abiti da sera ma si riforniva di vestiti nel negozio dell’Esercito e della Marina dove operai, marinai e gente di bassa estrazione sociale andavano a comprare tute e felpe. Pare che tra i due non sia mancato il sesso. Ma lui, che la chiamava «il mio piccolo boyfriend svedese» e «il mio caro ragazzo», avrebbe poi scritto di essere stato a letto con metà ragazzo e metà donna (…) Il ritiro dalle scene, che le ha garantito una fama perenne, forse non fu una scelta consapevole. Greta continuò a sognare tre ruoli: Dorian Gray, George Eliot e San Francesco. Non dipendeva soltanto dalla sua ambiguità (che era poi una componente fondamentale del suo fascino). Ma anche dall’insoddisfazione per i film interpretati e le successive proposte. In linea di massima, fuori dalle scene si annoiò. Viaggiò, fece un po’di vita mondana. Poi si chiuse nel suo appartamento di New York al 450 East 52nd Street. Ricchissima, viveva come una povera pensionata. Quando poteva si concedeva lunghissime passeggiate in città, in incognito, con le sue tutone da operaio. Riuscì anche a superare un cancro al seno. Chissà che avrebbe pensato della brutta e lunga battaglia legale che si scatenò sulle sue ceneri.
Da La provincia, Lunedì 29 Novembre 2010
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