Il caso della scuola media di Sassari e le difficoltà degli insegnanti
La logica del branco può diventare l’unica possibile identità
Due notizie di bullismo giovanile in prima pagina. La prima quella della ragazzina di una scuola media di Sassari aggredita da una piccola banda di coetanee all’uscita di scuola, alla presenza di altri compagni che se la ridevano; la seconda riguarda invece uno studente universitario pestato a sangue da un innamorato geloso, anche lui «assistito» da due complici che trattenevano la fidanzatina, affinché capisse con chi doveva stare. In entrambi i casi, avvenuti in orari diversi ma in luoghi abbastanza vicini, l’elemento comune è stato, dunque, l’azione violenta del gruppo nei confronti di un singolo avversario, con chiari intenti vendicativi. Ma mentre nel secondo caso ci si imbatte in un tipo di violenza quasi di stampo mafioso, nel caso della ragazzina della scuola media – la cui «colpa» più grave è stata, forse, quella di aver «fatto la spia» alla prof, in occasione di una prima aggressione subita nel bagno della scuola – ci troviamo invece davanti ad una forma di bullismo scolastico che purtroppo è diventato ormai classico.
Nella nostra vita esiste una età i cui non sei né carne né pesce. Hai appena lasciato i tuoi compagnetti delle elementari e le tue maestre col grembiule azzurro per inoltrarti nel buio oscuro dell’età puberale, con decine di professori dall’aria più o meno severa e un mucchio di compagni con gli ormoni in ebollizione che non sanno ancora a quale santo votarsi. L’unico approccio possibile con la nuova realtà appare spesso l’inserimento nel branco, dove puoi conquistare un ruolo e un’identità, anche a costo di trasformarti in un bulletto esecutore.
La cosa più difficile, in una classe del nostro tempo – anche in scuole d’eccellenza come quella della ragazzina vessata dalle compagne – è trovare il modo di difendere gli alunni più fragili dalle prepotenze dei bulletti da branco. La maggior parte dei ragazzi di una stessa classe non ama affatto il bullismo, ma qualche volta non può chiedere l’aiuto degli insegnanti senza rischiare di fare la figura della «spia», che non c’entra niente con l’omertà, ma fa parte invece di un più alto concetto di «onore» legato al senso di appartenenza, che ha pur sempre i suoi lati positivi. E se qualche volta l’insegnante coglie al volo le lamentele di un’alunna esasperata, non sempre è necessario fare nomi, cognomi e circostanze da scaricare sui colpevoli, pur censurando e punendo le malefatte di questi ultimi.
La Nuova Sardegna Domenica 21 Novembre 2010