Uno dei paradossi che ci regala il web e dato dalla modificazione nella percezione delle distanze
rispetto a ciò che viviamo e di cui siamo spettatori.
Così accade che possiamo vivere un evento lontano nell’intimità della nostra casa e parteciparvi emotivamente. Questo fa sì che riusciamo a commuoverci per le vittime di Aleppo ma, provare fastidio quando le stesse vittime bussano ai nostri confini chiedendo di essere accolte.
Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, ha sottolineato, nel discorso al Parlamento in occasione della giornata delle vittime dell’immigrazione che l’incontro tra noi e gli immigrati e un incontro tra due paure.
La nostra paura di un prossimo che si fa troppo prossimo e la paura di chi, avendo lasciato brandelli di vita in una terra ostile, teme di non riuscire a ricucire la propria esistenza.
Paure che, entrambi abbiamo tentato di esorcizzare in tanti modi con atteggiamenti che sfumano dalla accettazione incondizionata alla xenofobia più spinta.
Il processo che porta dall’incontro all’accoglienza non è dunque immediato e dato per acquisito una volta per tutte.
È legato alla crescita di consapevolezza che l’incontro con l’altro può costituire una risorsa, arricchire la nostra identità e allargare l’orizzonte delle nostre esperienze.
Può, in una parola, perpetuare e rinnovare la storia dell’umanità che è una storia di migrazioni.
Vi propongo due diverse esperienze realizzate nella nostra città in cui le persone hanno lavorato sulle loro paure e le hanno trasformate in risorse.
Il primo esempio è dato dal mondo del volontariato che con l’associazione Alisso, composta da giovani, sperimenta nuove modalità di coesione e integrazione culturale con tecnologie innovative riempendo di nuovi contenuti solidali quelle distanze virtuali che segnano, nel nostro tempo, i rapporti tra gli uomini.
Il secondo esempio lo offre il gruppo di giovani del quartiere di Monte Rosello che ha adottato i rifugiati politici che sono stati allontanati, per decorrenza dei termini di legge, dai centri di accoglienza straordinaria. Sono riusciti a mobilitare risorse umane ed economiche sviluppando un percorso virtuoso che costruiscono ogni giorno discutendo insieme su nuovi timori e possibili soluzioni.
Organizzano, comunicando attraverso una chat le attività più adatte ad integrare i giovani migranti ma si porgono in atteggiamento di ascolto delle loro esigenze abbattendo la distanza virtuale e, mettendosi in gioco, fanno sentire la loro “vicinanza”.
Due esempi positivi, uno associazionistico e uno che si fonda sul desiderio di partecipazione attiva dei cittadini alle trasformazioni che la storia vicina e lontana impone alle nostre comunità.
Ma, soprattutto, un messaggio dalle nuove generazioni: vogliamo essere cittadini del mondo e l’ospitalità che è la stessa condizione di chi accoglie e di chi è accolto, rappresenta il presupposto del nostro “abitare”.
Patrizia Masala e Massimo Mele
La rete dei diritti