“La legge lo consente e intendiamo tutelarci dal momento che è possibile farlo, da parte mia con profonda riconoscenza. Tre anni fa sono stato operato da un brutto male e Gianni mi è stato vicino e di grande conforto. Sono anziano e un domani Gianni potrà beneficiare così della reversibilità della mia pensione: lo merita”.
Queste sono le parole di Piero che si unirà civilmente con Gianni sabato prossimo a Schio, provincia di Vicenza. Un comune che è stato scelto dai due per poter sbrigare nel più breve tempo possibile tutte le pratiche necessarie.
Cosa c’è di particolare in tutto ciò?
Piero e Gianni hanno deciso di presentarsi dinnanzi ad un ufficiale di Stato per siglare la loro unione benché non siano gay ma amici di lunga data e conviventi da 15 anni per farsi compagnia e dividere le spese di gestione della casa in regime di separazione dei beni e in camere separate.
“Ci sono situazioni in cui non avere un legame riconosciuto crea difficoltà, come le degenze in ospedale, ma anche per piccole cose, il pagamento delle bollette, del canone Rai: prima che venisse messo in bolletta lo addebitavano a entrambi”, dichiarano i due, palesando di aver assunto questa decisione per pura convenienza.
Allo stato attuale della legge, infatti, nulla vieta che due persone dello stesso sesso si possano unire civilmente solo perché così godranno di vantaggi fiscali, sulla casa, sulla cittadinanza e anche agevolazioni in sede processuale penale.
Monica Cirinnà, senatrice del PD, ha dichiarato di non essere affatto sconvolta dalla decisione dei due uomini visto che, commenta: “I matrimoni di comodo si sono sempre fatti”.
Il presidente di Equality Italia, Aurelio Mancuso, si è rivelato molto più critico affermando che anche se l’unione civile tra persone dello stesso sesso per accedere ai benefici fiscali è legale, “moralmente non è corretto vista la battaglia che è stata fatta per il riconoscimento delle coppie omosessuali”.
Giuridicamente parlando, la legge Cirinnà consente l’unione civile tra due individui semplicemente legati da reciproca assistenza, materiale e morale; ciò non toglie che si possa parlare di un uso strumentale di una vittoria parziale del mondo omosessuale.
Nulla di tutto questo, affermano i due, bensì un uso correttissimo, seppur molto prosaico, della legge Cirinnà la quale non prevede come condizione per unirsi civilmente che la coppia sia legata da vincoli affettivi, bensì solo che la stessa coppia sia formata da due persone dello stesso sesso.
Al comma 1 dell’art. 1 infatti possiamo leggere che “la presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Nulla più.
Si evidenzia un’ulteriore falla della legge sebbene introdurre anche un vincolo affettivo avrebbe necessariamente generato una serie di problemi connessi all’arbitrarietà insita nell’accertamento dell’esistenza del legame. Ed ecco allora generarsi il paradosso: l’unione omosessuale è stata omologata al vincolo matrimoniale seppur solo in parte (ricordiamo lo stralcio della stepchild adoption e la mancanza di obbligo di fedeltà) e chiunque vi può ricorrere; la legge vuole però che non sia valida la relazione opposta, ovvero l’istituto del matrimonio non accoglie unioni da parte di soggetti dello stesso sesso.
Non rimane che parlare con dissapore di evoluzione e contemporanea involuzione delle intenzioni del legislatore in una spirale paradossale di progresso-regresso.