Il consiglio di stato ha stabilito che le trascrizioni negli archivi di stato civile dei comuni italiani degli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso contratti all’estero sono nulle. Il matrimonio omosessuale, per i giudici, è privo «dell’indefettibile condizione della diversità di sesso fra i nubendi».
Prima di entrare nel merito della sentenza, criticata sul piano giuridico da tantissimi giuristi tra cui anche la rete Lenford, non possiamo non evidenziare come il relatore della sentenza sia un “giurista cattolico” sostenitore delle Sentinelle in piedi e del movimento di fondamentalisti cattolici “No Gender”. Sui diritti di gay e lesbiche Carlo Deodato la pensa in modo molto chiaro. In barba all’articolo 111 della Costituzione che recita: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.” Il giudice infatti invitava a firmare contro il decreto legge “La buona scuola” e magnificava le “imprese” delle sentinelle in piedi considerate “la nuova resistenza”.
“Sentenza inaccettabile e da rivedere con giudici imparziali. Sarebbe come chiedere ad un giudice membro del Ku Klux Klan di decidere sui diritti dei neri. Ci appelliamo al Presidente della Repubblica perchè intervenga su questa decisione vergognosa” è il commento del Movimento Omosessuale Sardo
“La sentenza si pone in aperto contrasto con le pronunce della Corte di Cassazione sulla validità dei matrimoni contratti all’estero ed arriva ad affermazioni gravi come quella per cui l’attribuzione al giudice ordinario del controllo sulla rettificazione degli atti di stato civile sarebbe contrario alle esigenze di certezza del diritto e creerebbe un sistema non controllabile da un’autorità centrale” scrive la Rete Lenford, avvocatura per i diritti LGBTI “La revocabilità in via amministrativa degli atti di stato civile, così ritenuta dal Consiglio di Stato, è una decisione che mette a rischio i diritti civili di ogni cittadino e stride con il principio di separazione dei poteri a cui gli ordinamenti democratici sono ispirati.”
Per capire meglio il senso della sentenza meglio fare un passo indietro:
Il 18 ottobre del 2014 il sindaco di Roma Ignazio Marino aveva fatto la trascrizione nei registri di stato civile dei matrimoni celebrati all’estero di 16 coppie gay che ne avevano fatto richiesta al comune. La decisione di Marino seguiva una soluzione simile già adottata un mese prima dal sindaco di Bologna Virginio Merola, e poi seguita anche dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia e da altri in base a quel principio di reciprocità per cui due persone sposate in Spagna o nel Regno Unito sono sposate anche in Italia, e viceversa.
Nel frattempo, il ministro degli Interni Angelino Alfano aveva espresso parere contrario sostenendo che le trascrizioni erano contrarie alla legge italiana e non avevano pertanto alcuna validità giuridica. Alfano aveva anche fatto circolare un documento tra tutti i prefetti, affinché venissero annullate d’ufficio eventuali trascrizioni nei registri di stato civile di matrimoni gay celebrati all’estero. Nella circolare inviata ai prefetti il 7 ottobre 2014, si evidenziava la non conformità della trascrizioni dei comuni alle leggi italiane. Si diceva inoltre che “la disciplina dell’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso” rientra “nella competenza esclusiva del legislatore nazionale”. La circolare riportava anche la “diversità di sesso” come requisito per ritenere giuridicamente valido il matrimonio.
L’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, basandosi sulla circolare del ministero dell’Interno, aveva annullato il provvedimento del sindaco Marino e la stessa cosa aveva fatto il prefetto di Bologna: due coppie e lo stesso Comune di Roma avevano presentato tre distinti ricorsi amministrativi al TAR. E il TAR del Lazio – così come altri quattro TAR – aveva stabilito che l’annullamento delle trascrizioni nei registri comunali dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero poteva essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria (quindi da un tribunale civile) e non dal ministro dell’Interno o dal prefetto.
La sentenza del Consiglio di Stato ribalta le sentenze dei TAR, si piega alla linea del Governo e crea un problema di conflitto di poteri che ora dovrà essere risolto.