Minatrici con orgoglio: Patrizia e Valentina il cuore di Carbosulcis

Home » featured » Minatrici con orgoglio: Patrizia e Valentina il cuore di Carbosulcis

Di Massimo Mele il 31 Ottobre 2010. Nessun commento

Le trovi sempre in prima linea, ai controlli, al bullonamento o ai sistemi di sicurezza

DALL’INVIATO GIUSEPPE CENTORE

NURAXI FIGUS. Valentina e Patrizia non l’hanno scelta. È lei che ha scelto loro, come i padri e i nonni. Un abbraccio non più opprimente come cinquanta anni fa, ma forte e deciso, che ti toglie il fiato, perché sotto c’è buio e fango. L’aria, i colori, e il sole sono fuori, in alto, e sono da cercare in ogni momento libero, per ricaricare occhi e mente. Se non fosse per le loro intense pupille che bucherebbero una parete di roccia, sarebbero due quarantenni impegnate nei turni in fabbrica. E invece sono donne speciali; sono le uniche due minatrici d’Italia, “operative” in sottosuolo. Scendono con protezioni, stivali speciali, casco, respiratore ed erogatore d’ossigeno d’emergenza, ma sotto i guanti hanno le unghie smaltate e case ricche di vezzi femminili, quasi a compensare l’ipocrita mascolinità del loro lavoro. Hanno il cuore a Nuraxi Figus, Carbosulcis, la miniera che resiste al passato scommettendo sulle nuove tecnologie.
Un ritratto. A Valentina Zurru, 43 anni, padre minatore, ultima di sette figli, piace la campagna, il nuoto e correre in bici. Patrizia Saias, 49enne, divorziata con due figlie di 19 e 13 anni (Eleonora e Francesca) divisa tra famiglia e lavoro, ha tempo solo per riposarsi. Le loro storie, diverse come non mai, hanno solo un punto in comune: la voglia di vivere normalmente ciò che normale ancora oggi non è. «È un lavoro come tanti, con qualche disagio in più ma con mille soddisfazioni. Forse dobbiamo sfatare qualche luogo comune, ci guardiamo intorno, vediamo tanti uomini che manifestano tutte le debolezze possibili in miniera».
Gli inizi. Valentina, lunghissimi capelli neri, tenuti dentro al casco con una elaboratissima crocchia, è arrivata in Carbosulcis due anni dopo il diploma. «Mi sono diplomata nell’85 al minerario Asproni, già allora ero l’unica donna nella mia classe, e dopo ho fatto tante domande, per le piattaforme Agip, persino in banca. Ma un anno dopo mi ha chiamato Carbosulcis e ho subito accettato». Suo padre, come quello di Patrizia ha fatto il minatore, ma non c’è stato in questi casi alcun passaggio di testimone. «Difficile trovare famiglie del Sulcis-Iglesiente che non abbiano avuto rapporti con le miniere». Negli anni Sessanta, decine di migliaia di operai, oggi meno di cinquecento. Valentina è stata assunta come grisouista, addetta ai controlli ambientali, poi è passata ad occuparsi di bullonatura, il sistema che consente di mantenere in piedi le volte della miniera senza armarle. «Si sostengono con bulloni di acciaio lunghi due metri che vengono inseriti nella roccia, con una certa velocità di rotazione e accompagnati da una speciale resina: se si sbagliano i tempi e le procedure, l’inserimento è fallito e va ripetuto. Io verifico che le attività siano corrette e indico ai colleghi se devono o meno ripetere l’intervento». Patrizia è un tecnico di gestione ambientale, espressione riduttiva per indicare chi si occupa di tante cose: ventilazione, polveri, sistemi di sicurezza nelle diverse fasi e aree di lavorazione, responsabilità da far perdere il sonno. «Qualche anno dopo essere stata assunta ho avuto problemi di salute e mi hanno fatto salire negli uffici, sino alla Presidenza, ma poi ho chiesto io di tornare sotto, mi ero affezionata, l’ho fatto un anno dopo la nascita di Francesca e dopo ho capito che i sacrifici erano più che compensati dalla bellezza di questo lavoro».
I colleghi. Gelosia? Invidia? Patrizia risponde diplomaticamente. «I miei colleghi non amano essere governati o consigliati da una donna; vedono le gerarchie come muri, da non valicare mai. Per me non è così. Se c’è da portare un tubo pesante, non mi tiro indietro, se non altro per dimostrare che non siamo un battito di ciglia o un filo di rossetto. Il mio incarico mi obbliga a girare tutta la miniera, anche le zone non più coltivate, per verificare che sia tutto in regola, qualche volta forse sembro antipatica, ma è fondamentale, soprattutto quando sei sotto, dire quello che pensi, senza giri di parole. In galleria non si deve discutere, si deve fare ciò che è previsto, e se non lo sai o puoi fare, devi salire, per te e per i tuoi compagni».
Valentina è dello stesso avviso, ma ammette che la strada per andare in galleria non è molto affollata. «Questa è una azienda anche troppo buona. Basta che uno accusi il più piccolo malessere – ride – e viene “portato” in superficie. Non mi va di manifestare queste debolezze, e per questo appena sono stata richiesta alla bullonatura ho accettato. Il primo giorno mi sono detta: che togo! Questa è la vera miniera, in prima linea sulla linea di coltivazione. Ma molti colleghi hanno una mentalità preistorica, ancora non mi “vedono”, per loro è più facile parlare con un uomo, anche se sono io che ho fatto i corsi di formazione sulla bullonatura e il sistema di controllo a tutti i nuovi assunti».
La quotidianità. A Valentina piace dormire, per questo se la prende “comoda”. «Mi alzo alle 5,27 e alle 6 e mezza sono in miniera. Posso prendere la gabbia (l’ascensore per i non addetti ai lavori) alle 7 alle 8 o alle 9, ma non scendo mai subito, faccio prima avviare le procedure sulla linea e poi verifico. Faccio parte di un reparto di servizio, non devo bloccare il lavoro di coltivazione ma devo adeguarmi ai loro tempi. Quando scendo mi attende un conduttore (il taxista delle gallerie, ndr) e mi porta sul luogo di intervento. Di solito risalgo poco prima delle tredici, ma spesso siamo rimasti sino alle 7 di sera. Mi prendono in giro perché mi porto dietro tutto: acqua, pennarello, matita, coltellino e quant’altro. Mangio tanto, poco alla volta: frutta secca ad esempio. Certo non scendo con la tuta stirata, come vedo tanti colleghi». Le sue unghie rosso brillante e gli anelli, vietati in sottosuolo, si notano solo in mensa. Patrizia invece ha ritmi diversi, e una famiglia da seguire. «Sveglia prima delle 5, alle sei sono già al lavoro, le mie bambine continuano a dormire. Per fortuna loro sono del tutto autonome, sanno cosa fare la mattina e il pomeriggio quando non rientro. A scuola vanno bene, la più grande si sta per diplomare al pedagogico e sogna di studiare fotografia a Brera. Talvolta sono gelose del mio lavoro, ma solo quando qualcuno, come Fabri Fibra, è venuto da noi per un video. In quel caso avere una madre minatrice è stato un vanto, a scuola e tra le amiche».
L’altra vita. «Sarebbe bello averla. Con due figlie, e mille cose da fare a casa, non ho tempo per nulla. Viaggi? Ogni anno vado in Basilicata per rimettermi in sesto dopo un anno di galleria, faccio le cure termali, e a chi mi chiede se sono mai andata in crociera (per me solo l’incrocio di due gallerie) rispondo che in crociera ci vado ogni giorno». Valentina invece ha più tempo (si fa per dire) e si è «comprata un pezzo di terra, che aro con un piccolo trattore. Il verde, la campagna, tutto ciò che è aria mi ridà la carica, e mi consente di stare bene con gli altri. Tempo libero? Oltre alla miniera faccio i turni anche per stare vicino a mio padre, 90 anni e con l’Alzheimer. Direi che basta».
La paura. Impossibile far finta di nulla. «Ci convivi, ma la governi. Appena assunta – parla Valentina – con una collega ci siamo perse nel dedalo di gallerie e sezioni. Ho aspettato, ma non è stato bello. Quando passi dietro le pile (il sistema che protegge i lavoratori durante il taglio, ndr) e vedi dieci metri di roccia sopra di te beh, è meglio pensare ad altro». «Ho paura più per gli altri che per me. Mio fratello lavora ai tracciamenti, mio nipote ai trasporti; riaprire un fronte di sbarramento è il momento più delicato, non sai mai cosa può succedere, ma nessuno farebbe fesserie o ci lascerebbe in difficoltà».
I desideri. È il capitolo più difficile da affrontare. Valentina e Patrizia, così diverse per storia personale e famigliare, in comune hanno la data di assunzione e le discese in galleria, non riescono a pensare la loro vita senza la miniera. «È il nostro lavoro, ci piace e lo vorremmo fare sino a quando le forze ci sosterranno. Siamo matte? No. Siamo minatrici». E con questi chiari di luna, oltre alla famiglia Patrizia e Valentina si tengono stretto anche lo stipendio.

Pubblica un commento