L’asemblea nazionale del PD dello scorso fine settimana si è conclusa con grandi polemiche ed un lungo strascico di veleni, sia interni che esterni al partito. Ma cosa è successo di preciso?
Diciamo che la spaccatura è avvanuta su due punti cruciali per una parte del partito, marginali per tutta la vecchia nomenklatura: primarie e diritti di gay e lesbiche. Sul primo punto Bersani è stato piuttosto chiaro nell’esprimere tutta l’indecisione del partito sull’esigenza di tenerle o meno, quando ed in quale forma “Le primarie si dovranno tenere in una ragionevole distanza dalle elezioni e cioè entro la fine dell’anno” ma “.. sulle primarie non possiamo decidere da soli i tempi e i modi. Lasciatemelo dire con chiarezza: non si parlerà del Pd, non sarà il congresso del Pd. Si parlerà dell’Italia e del governo del Paese”. Tutto chiaro? Assolutamente no!
Ma è sul tema dei diritti di gay e lesbiche che si consuma l’ultimo siparietto di un’assemblea che ha fatto discutere a lungo.
Il documento politico – Al termine dell’assemblea viene messo ai voti il documento politico generale che, sui diritti di gay e lesbiche, recita: “In questa evoluzione la cultura e gli ordinamenti giuridici hanno riconosciuto un’importanza crescente alla libera espressione dell’affettività personale, all’uguaglianza delle persone all’interno della famiglia e agli obblighi di solidarietà tra coniugi e tra genitori e figli. Si tratta di valori essenziali non solo alla vita personale, ma all’intera vita sociale. Per questo la Costituzione italiana ha inteso riconoscere e stabilire i diritti e i doveri della famiglia (artt. 29 e 30), nonché il dovere della Repubblica di agevolarla e sostenerla nell’adempimento dei suoi compiti (art. 31). […] D’altra parte non si può ignorare che nella società contemporanea le dinamiche sociali ed economiche, da un lato, e, dall’altro, le libere scelte affettive e le assunzioni di solidarietà hanno dato vita a una pluralità di forme di convivenza, che svolgono una funzione importante nella realizzazione delle persone e nella creazione di un più forte tessuto di rapporti sociali. Per questo esse appaiono meritevoli di riconoscimento e tutela sulla base di alcuni principi fondamentali .…Tale riconoscimento dovrà avvenire secondo tecniche e modalità rispettose, da un lato, della posizione costituzionalmente rilevante della famiglia fondata sul matrimonio ai sensi dell’art. 29 Cost.”.
L’odg sui matrimoni gay – Lo scontro si è acceso quando si è trattato di votare il documento finale sui diritti. L’ordine del giorno presentato sulle coppie gay sottolinea che “non vediamo ragioni per cui il Partito democratico non dovrebbe schierarsi con chiarezza per l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali”. “Non ci sono ragioni giuridiche”, “non ci sono ragioni politiche”, si legge nel testo, “non possono esserci ragioni morali che individuino nelle coppie omosessuali unioni di seconda categoria, cui riservare istituti di seconda categoria”. L’unica soluzione che il Partito democratico può legittimamente sostenere per le coppie omosessuali è “l’uguaglianza che è dovuta a ciascun cittadino e a ciascuna famiglia secondo lo spirito e la lettera della nostra carta fondamentale“. Per questo si chiede che il Pd adotti nel programma elettorale per le prossime elezioni politiche “la proposta di estendere il matrimonio civile alle coppie omosessuali”.
Ovvero una interpretazione opposta dello spirito della Costituzione a quella espressa nel documento ufficiale, ma sicuramente più in sintonia con quanto sostenuto ultimamente dalla Corte di Cassazione e dalla stessa Corte Costituzionale.
Il voto – Al momento del voto, l’esponente del Pd barese Enrico Fusco ha preso la parola per attaccare “un documento antico, arcaico, offensivo della dignità delle persone“. “E’ vergognoso – ha insistito – persino Fini è più avanti di noi”. Contro il documento hanno votato in 38 tra i quali Ignazio Marino, Ivan Scalfarotto, Sandro Gozi e Paola Concia. Ma il parapiglia è continuato quando la vicepresidente del Pd Marina Sereni ha spiegato che la presidenza riteneva precluso l’odg sui matrimoni gay “perché nega il contenuto del documento approvato poco fa”, rinviando il tema a una direzione ad hoc. Quando Sereni ha proposto di precludere anche il voto sull’odg di Sandro Gozi che proponeva primarie aperte, dalla platea si è sollevato brusio e un coro di “voto, voto”.
A questo punto Bersani ha preso il microfono: “Sulle unioni gay il Pd per la prima volta ha assunto un impegno a una regolamentazione giuridica e sulle primarie dobbiamo dire una cosa chiara al Paese e nel mio intervento, assicurando primarie aperte, ho assorbito il punti 2 e 3. Quanto alla data delle primarie io dico che si fanno con gli altri, non facciamo tutto noi e quindi propongo di votare contro”. La platea ha applaudito il segretario e poco dopo l’assemblea si è chiusa.
IL (v)etero PD ha vinto. Contrariamente a quanto sostenuto da moltissimi giuristi, costituzionalisti e dalla stessa corte Costituzionale, che non vedono nella nostra Costituzione alcun limite all’estensione alle coppie gay e lesbiche dell’istituto del matrimonio, per l’assemblea nazionale e, nello specifico, per Bersani e Bindi, l’art. 29 vieterebbe il matrimonio gay in quanto parlerebbe di “famiglia naturale” (che per loro, ovviamente, è quella eterosessuale). Forse rileggere la costituzione, quella che per anni hanno sventolato contro Berlusconi, farebbe bene anche a loro.
Come scrive infatti Gianluigi Piras, assessore PD del comune di Jerzu e portavoce del segretario regionale PD Silvio Lai, che bolla il documento approvato come “arcaico”:
“Tra i cavalli di battaglia di chi si oppone al matrimonio omosessuale c’è il richiamo alla “natura” dell’art. 29 della Costituzione, dove viene sancito che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Per gli oppositori al matrimonio, tra i quali c’è lei, Presidente Rosi Bindi, il significato dell’art.29 sarebbe quello di sancire costituzionalmente la “famiglia naturale”, composta da moglie e marito e magari anche da qualche figlio.
Tutto ciò premesso occorrerebbe leggere con un po più di attenzione, o di onestà intellettuale, il disposto dell’art. 29 per vedere che non esiste alcuna “famiglia naturale” a cui la costituzione stessa faccia riferimento; cosi come l’art.30, parlando di genitori, non fa alcun riferimento ad uomini e donne. Si parla, infatti, di “famiglia come società naturale“, ovvero, nel linguaggio giuridico, società che le persone formano senza presupporre una necessità di norme giuridiche (altra cosa sono ad esempio le società per azioni, non concepibili senza le norme che le definiscono e le disciplinano).
Insomma, il diritto arriva in un secondo momento.
Più in particolare, la Costituzione arriva a stabilire che i diritti “della famiglia” (ovvero diritti dei singoli che la compongono) sono riconosciuti a patto che questa “società naturale” abbia dato luogo a un matrimonio, ovvero l’unico istituto giuridico, l’unico strumento contrattuale che secondo la costituzione è necessario al fine del riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale. Ecco perché oggi si deve parlare di matrimoni gay: perché è la Costituzione repubblicana che li richiama.“.
Oltre a questo, Piras, rilegge lo scontro in atto all’interno del PD escludendo che questo attenga alla semplice divisione fra laici e cattolici “la prima cosa è che non si può più sentire che sulle questioni etiche e sui diritti civili, la questione aperta all’interno del Partito Democratico, sia una questione tra atei e cattolici. Lo dimostra il voto interno all’assemblea nazionale PD del 14 luglio 2012, dove, a votare a favore di un documento retrogrado prodotto dal comitato diritti del pd (nonostante l’opposizione di diversi componenti il comitato stesso), siano stati, oltre tanti esponenti cattolici, anche tanti rappresentanti provenienti dalla cultura ex comunista, atea e anticlericale. Al contrario, diversi esponenti cattolici come Ignazio Marino e altri come Ivan Scalfarotto, Pippo Civati e Paola Concia, hanno votato contro. E anche io, cattolico del pd, avrei votato contro.”
E mentre nel PD dirigenti nazionali ed amministratori locali, oltre ad una base furiosa, prendono le distanze, all’esterno il mondo politico si schiera pro e contro i matrimoni omosessuali. Scontato l’attacco di Di Pietro, il cui partito da tempo si è assestato sulla richiesta del matrimonio per persone dello stesso sesso. Meno quello di Beppe Grillo, che, però, non deve dar conto ad un’assemblea delle sue decisioni essendo il suo un movimento carismatico e totalmente dipendente dalle sue posizioni: “… Io sono favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso. L’Italia non ha una legislazione per le unioni di fatto. E’ una vergogna … Ognuno deve poter amare chi crede e vivere la propria vita con lui o con lei tutelato dalla legge”. Ma poi attacca “La Bindi, che problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti, ha negato persino la presentazione di un documento sull’unione civile tra gay. Vade retro Satana. Niente sesso, siamo pidimenoellini. La Binetti sotto il palco gridava “Devianza, devianza!”, mentre indossava un cilicio osè sulla coscia e si flagellava con un frustino di corda.”
Oggi sull’Unità, Francesco Boccia, parlamentare PD, prova a mettere una toppa “Quella dei matrimoni gay, del riconoscimento delle coppie di fatto e dei diritti civili è una battaglia che condivido e che deve essere portata avanti con determinazione e coraggio. Ma farlo diventare un terreno di scontro per guadagnare tre, quattro, cinque punti nei sondaggi non giova a nessuno, non giova al PD ma non giova più che altro al raggiungimento di tali obiettivi.” Ovvero, i panni sporchi si lavano in famiglia … e se i gay rimangono senza diritti, pazienza, il PD (e le elezioni), è più importante della vita di qualche milione di italiani ….