Si è svolta giovedì 8 Dicembre a Cagliari la manifestazione indetta dal gruppo “I’m gay, any problem?” per la sensibilizzazione e l’informazione sull’omosessualità.
Come preannunciato, una cinquantina di persone si sono ritrovate al Bastione per poi disperdersi per le vie dello shopping per parlare con le persone di omosessualità, diritti negati, diversità. Una manifestazione sobria, per sottolineare la “normalità dell’omosessualità”. Un controsenso, forse, ma importante per combattere quel pregiudizio omofobico derivante dall’ignoranza di chi ancora considera l’omosessualità qualcosa di anormale, strano, inacettabile ma, sopratutto, sconosciuto. Reazioni positive e negative si sono altrenate anche se, a prevalere, sono state di sicuro quelle positive.
Piuttosto tristi, invece, i commenti a margine dell’anteprima dell’articolo dell’Unione Sarda: “Quanto rompono questi. Non passa giorno senza che insultino chi non condivide i loro gusti malsani.”, dice uno, e poco dopo Antoniu “Non so se sono omofobo perché non ho trovato una definizione precisa. A me ci sono cose che mi fanno schifo e basta.” e un più classico “… ho un sacco di amici gay ma vedere atti sessuali mi potrebbe far rigurgitare”
Di seguito l’articolo integrale dell’Unione Sarda che, stranamente, ha dedicato all’iniziativa un ampio spazio. Speriamo dedichi lo stesso spazio anche alle altre iniziative GLBT che troppo spesso censura …
I giovanissimi, con telecamere e registratore, hanno intervistato i passanti. C’è chi insulta ma in tanti rispondono. «Un figlio gay? Non ci sarebbe alcun problema».
«Mi raccomando, non dobbiamo fare casino: dobbiamo solo informare sulla normalità dell’omosessualità», avverte dalla bacheca di Facebook Ery Sony. Detto, fatto: appuntamento al Bastione, una trentina (forse quarantina) di ragazzi parte per le vie dello shopping a parlare di sessualità. La manifestazione che si svolge già da anni in altre città, arriva anche a Cagliari: si chiama “I’m gay, any problem?”. E, giusto per chiarire, lo slogan dell’evento aggiunge: “Eterosessuale, omosessuale, bisessuale, transessuale, che importa? Io sono contro l’ignoranza e l’ingiustizia”.
I PARTECIPANTI Nessuna ostentazione stile gay pride (al massimo, c’è una ragazza che propone capelli viola: quello che si vede in qualunque scuola): i ragazzi che scendono in via Manno e si dirigono in via Roma trasmettono proprio quello che vogliono, la normalità dell’omosessualità. Nessuna vergogna neanche a fare il proprio nome. a queste latitudini, fortunatamente, il coming out rappresenta il ricordo di un passato, forse, lontano. Loro ci mettono la faccia per esorcizzare il demone dell’omofobia.
LA MANIFESTAZIONE Il corteo scende in via Manno. Wentz («Se ti dicessi il mio vero nome, nessuno mi riconoscerebbe: questo è lo pseudonimo con il quale faccio il vocalist nei locali), in versione p.r., ferma i passanti e pone loro domande sull’omosessualità. Altri partecipanti filmano o registrano («La maggior parte delle persone preferisce non mostrarsi con il loro volto»). Loro, i rappresentanti della comunità glbt, distribuiscono volantini. E parlano con la gente.
LE REAZIONI O, per meglio dire, con quelle persone che si fermano ad ascoltare. In via Roma, una ragazza dalla discutibile classe, fa ricorso a un vocabolario più adatto al vicino porto. Una coppia taglia corto: «Non mi interessa». Come se i ragazzi stessero vendendo qualche prodotto. «In linea di massima», dice Erika Podda, una della organizzatrici della manifestazione, «le reazioni si assomigliano tutte: le persone che conoscono la realtà danno risposte sentite. Le altre, spaventate da ciò che non conoscono, al massimo dicono cose scontate». Ma va bene anche così. «Una delle ragioni per le quali si organizzano queste manifestazioni», interviene Sonia Assorgia, «è proprio informare, far conoscere alle persone realtà con le quali spesso non hanno contatti».
LA GENTE Ma, come sostiene Martina Casula, rappresentante di Arc (Associazione cagliaritana per i diritti glbt), la città, tutto sommato, sta crescendo. «Certo, dobbiamo ancora crescere. Ma i segnali sono incoraggianti». Quasi a darle ragione, da via Napoli sbucano due donne di quarantacinque anni. «Se avessimo figli gay? Nessun problema», rispondono quasi all’unisono. E suggeriscono anche un sistema per superare l’omofobia. «Sarebbe indispensabile portare a scuola la cultura dell’accettazione».
I RAGAZZI Musica per le orecchie dei partecipanti. Loro, giovanissimi, sono felici di sentire che, tra i coetanei dei loro genitori, ci siano persone in grado di capire. Una boccata d’ossigeno, soprattutto in una giornata particolarmente pesante per i ragazzi di Arc. Perché “I’m gay, any problem?” è arrivato quasi come un fulmine a ciel sereno. «Stavamo organizzando», riprende Martina Casula, «la festa per il primo compleanno di Arc (in realtà è il decimo ndr). Ma non potevamo non partecipare». Anche se con qualche contrattempo. «Purtroppo non abbiamo fatto in tempo a portare i volantini che avevamo preparato. Peccato. Ma, per fortuna, è solo un dettaglio».
Marcello Cocco