Arriva alle battute finali il processo farsa che ha costretto, un cittadino innocente, a 29 mesi di carcere, lontano dalla famiglia, lontano dalla sua terra. Noi non abbiamo mai creduto alle accuse verso Bruno Bellomonte, non per l’amicizia o la vicinanza politica, ma perchè le abbiamo ritenute, fin dall’inizio, non solo assolutamente incredibili ma, probabilmente, una costruzione intenzionale di un falso teorema accusatorio finalizzato alla pura repressione del pensiero e della leggittima lotta politica. A lui ed a Caterina, la sua compagna, tutta la nostra solidarietà.
Di seguito la lettera aperta di Caterina Tani:
Oggi con la requisitoria dei PM inizia la fase finale del processo in cui è coinvolto Bruno insieme ad altri compagni.
Sono passati esattamente 29 mesi di carcerazione preventiva durante i quali uno degli imputati è stato lasciato morire in carcere per insufficiente assistenza sanitaria.
Non so se finirà come io ed altri ci aspettiamo che finisca, vista la superficialità in molti punti dell’indagine e l’impostazione tutta teorica della stessa. In ogni caso sono sicura che Bruno seguirà anche questa ultima fase con la stessa lucidità e forza avuti finora.
Ed io con lui. Ma non soli.
Queste mie poche righe voglio indirizzarle a tutti quelli che ci hanno accompagnato in questi lunghi mesi. Ai compagni di aManca che hanno rivendicato e sostenuto con forza l’appartenenza di Bruno alla loro organizzazione, agli amici personali di entrambi, alle organizzazioni politiche ai collettivi di base, ai gruppi ed ai singoli individui che da subito non hanno creduto alle accuse contestate.
In pratica a tutti quelli che in questo periodo hanno espresso solidarietà politica ed economica, sia partecipando alle varie iniziative proposte sia promuovendone altre in autonomia: manifestazioni, sit-in, conferenze stampa, scioperi della fame, raccolta firme,concerti, pranzi e quant’altro.
Molte di queste persone non conoscono Bruno personalmente ed io stessa le ho conosciute in questa occasione.
Di tutto ciò Bruno è stato sempre informato e anche da questo abbiamo tratto energie che ci hanno consentito di vivere questo lungo periodo.
A tutti voi, grazie.
Caterina Tani (Sassari 10 novembre 2011)
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Da la Nuova Sardegna di oggi
G8 della Maddalena, il pm chiede la condanna del ferroviere
ROMA. Bruno Bellomonte faceva parte dell’associazione eversiva “Per il comunismo, Brigate Rosse” che tra il 2007 e il 2009 preparava azioni criminali di impatto mondiale. L’attacco al G8 della Maddalena doveva essere l’azione simbolica destinata a indebolire l’immagine internazionale dell’Italia come paese incapace di garantire la sicurezza ai capi di stato esteri. Per il pubblico ministero Luca Tescaroli, sul ferroviere sassarese come sugli altri cinque imputati pesano “prove granitiche” che gli affibbiano il ruolo di “stratega dell’organizzazione” impegnato a programmare gli aspetti tecnici di una sorta di bombardamento del vertice, poi trasferito all’Aquila, con l’uso di un aeroplanino telecomandato che avrebbe scaricato sulla sede dell’incontro “alcuni chili di esplosivo”. Per Tescaroli “non c’è la prova che il progetto fosse di provocare vittime, l’obiettivo era violare il sistema di sicurezza” per dimostrarne la vulnerabilità agli occhi del mondo.
Sette ore e mezzo di requisitoria davanti ai giudici della Corte d’assise e l’annuncio, fin dalle prime battute, di una richiesta inevitabile: cinque condanne, compresa quella di Bellomonte che dall’orbita indipendentista di “A manca” si ritrova dopo 28 mesi di carcere in una galassia di personaggi per la Procura di Roma “ad alta pericolosita”.
Ma per conoscere le richieste di pena bisognerà attendere questa mattina – dalle 9.30 – quando il secondo pm, Erminio Amelio, avrà concluso l’intervento rivolto ad approfondire aspetti che riguardano soprattutto gli altri imputati: Manolo Morlacchi, Bernardino Vincenzi, Franco Zoia e Costantino Virgilio. Di certo, per tutti, c’è l’accusa confermata di associazione eversiva e di banda armata, che coinvolge Bellomonte malgrado non ci sia prova – Tescaroli l’ha riconosciuto – che l’ex candidato a sindaco di Sassari abbia avuto a che fare con l’arsenale trovato a casa di Massimo Porcile e di Vincenzo Mucciarelli, l’imputato che ha patteggiato.
Ma quali sono gli elementi che per la Procura romana incastrano Bellomonte a responsabilità pesantissime. Prima di tutti la frequentazione clandestina con Luigi Fallico, presunto capo delle nuove Br morto in carcere il 22 maggio scorso, a dibattimento inoltrato: l’ex capostazione di Sassari lo incontra molte volte, va a Roma e lo cerca nel suo negozio-laboratorio di corniciaio. Ma per entrare in contatto con Fallico usa “le precauzioni tipiche delle Brigate Rosse e delle altre organizzazioni eversive”: chiama solo da cabine telefoniche pubbliche, pratica la tecnica del contropedinamento, prende bus al volo, evita i saluti. Nessuno in Sardegna sa che Bellomonte conosce e frequenta Fallico eppure i due si parlano e si incontrano. Per di più Bellomonte – ha sostenuto il pm – è al corrente dei rapporti tra Fallico e l’ex brigatista milanese Manolo Morlacchi, nelle conversazioni intercettate mostra di sapere dei diciassette incontri organizzativi svolti dagli altri componenti l’associazione con la tecnica della compartimentazione: solo due-tre persone alla volta per non dare alla Digos facili piste di collegamento tra progetti e personaggi impegnati nell’attività eversiva.
Tescaroli ha dedicato a Bellomonte la maggior parte dell’intervento forse perchè quella del sassarese sembra la posizione meno compromessa. Anche se nella ricostruzione del pubblico ministero il ferroviere svolge un ruolo tutt’altro che secondario e finora nessuno ha spiegato – così ha detto Tescaroli – perchè frequentasse direttamente e indirettamente personaggi legati all’eversione armata seguendo rituali di sicurezza molto precisi: «Quando è stato arrestato, il 10 giugno 2009 – ha detto Tescaroli – aveva la batteria del cellulare staccata». Poi, nel corso di una perquisizione, la Digos trovò all’interno di un calzino il numero di telefono riferito a una scheda Vodafone riservata che Fallico aveva ricevuto dal gruppo di Morlacchi: «Perchè – ha chiesto il pm – nascondere anche questo, se l’attività politica di Bellomonte filava sui binari della legalita?»
Il centro dell’accusa resta però il faccia a faccia Bellomonte-Fallico nel ristorante romano «La Suburra». Una cimice installata dagli investigatori registra una conversazione frammentaria, a tratti indecifrabile, dalla quale la Procura estrapola comunque elementi considerati decisivi. In quello e in altri incontri per l’accusa viene programmato l’attacco al G8, l’azione che avrebbe dovuto proiettare l’organizzazione di Fallico sullo scenario terroristico internazionale. Bellomonte suggerisce che a La Maddalena non vada “uno di noi, perchè altrimenti lo inculano”. Quindi un soggetto pulito che avrebbe dovuto affittare una casa per monitorare la situazione e preparare il campo all’azione dal mare: un modellino di aereo telecomandato – nell’intercettazione si distinguono le parole telecomando e 49 hertz – doveva sorvolare la sede del vertice per sganciare un ordigno: «E’ vero – ha spiegato il pm – che Bellomonte era impegnato insieme ad altri militanti indipendentisti nell’organizzazione di un controvertice legale, ma nel frattempo lavorava con Fallico a un’attività del tutto avulsa dal progetto pubblico».
Nella mole di atti processuali resta però un solo attentato realizzato sino in fondo: la bomba alla caserma della Folgore, la «Vannucci» di Livorno, del 26 settembre 2006. Il resto sono solo progetti, che la difesa cercherà di smontare.