Esattamente un anno fa in piazza il MOS esprimeva preoccupazione e vicinanza alle persone LGBTQ+ dell’Ucraina, preoccupazioni che si sono concretizzate durante questi mesi di conflitto.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare le persone LGBTQ+ ucraine non beneficiavano di grandi tutele ma dal 1991, anno da cui l’omosessualità in Ucraina non è più considerata reato, i passi avanti verso il riconoscimento dei diritti, seppur lenti, sono stati visibili.
Nel 2015, anno in cui nasce il Kiev Pride, è stata vietata la discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere sul posto di lavoro; nonostante la disforia di genere sia considerata ancora una malattia il Ministero della Salute ha legalizzato la riassegnazione del sesso e nel 2019 nasce anche il Pride di Kharkiv, seconda città dell’Ucraina.
Un percorso che però ha subito una forte battuta d’arresto con l’inizio della guerra, peggiorando, se possibile, le condizioni di vita delle persone LGBTQ+ e non solo perché il conflitto ha rubato spazio alle leggi che si stavano discutendo in parlamento.
Con l’inizio del conflitto molte persone ucraine hanno dovuto abbandonare la propria città per trovare sistemazione nei campi profughi presso altri Paesi, molti dei quali non vantano una tradizione come luoghi ospitali per le persone LGBTQ+, come nel caso dell’ultraconservatrice Polonia per esempio.
C’è anche chi dall’Ucraina non ha avuto la possibilità di fuggire, come nel caso delle donne transessuali che sottoposte a controlli invasivi per la verifica del sesso alla frontiera sono state bloccate e costrette al dietro front. Infatti, in tutti quei casi in cui il genere nel passaporto non corrisponde ancora alla loro identità di genere sono state considerate uomini ed è stato impedito loro di lasciare il Paese come previsto dalla legge marziale e quindi chiamate a combattere.
C’è poi chi resta, che oltre al terrore del conflitto e all’ostilità già diffusa, teme un peggioramento con l’avanzata di Putin e della sua azione contro la cosiddetta “propaganda gay”. L’avanzata dell’esercito russo potrebbe non solo rimettere in discussione i diritti già raggiunti ma anche mettere a rischio l’incolumità di attiviste e attivisti LGBTQ+, come gli eventi del passato hanno dimostrato e le presunte minacce fanno temere.
Ad un anno dall’inizio del conflitto siamo di nuovo qui in piazza a ribadire la nostra vicinanza e gratitudine a tutte le organizzazioni che nel territorio ucraino continuano ad impegnarsi per garantire sostegno, cure e protezione alle persone LGBTQ+. E anche in piazza riportiamo il grido d’orgoglio del Kiev Pride: “Non ci faremo intimidire dalle minacce di Putin”.
Stop alla guerra. Disarmo immediato. Avviamo i negoziati di pace.